di John Williams
Fazi Editore, 2013
Dimenticate Stoner. Il mondo accademico, la tranquilla vita
di un professore non particolarmente brillante o memorabile, scandita dalla
lucida visione del mondo e delle persone che si esprime in quella prosa
perfetta capace di dare immortalità ad un’esistenza ordinaria. Williams torna
finalmente nelle librerie italiane con un romanzo completamente diverso,
Butcher’s Crossing, forte dello straordinario successo di pubblico e critica ottenuto
da Stoner. E forse non potrebbe esserci nulla di più diverso: avventure,
scenari sconfinati, natura selvaggia e tre uomini che si confrontano con l’aspro
West. Il mondo accademico di Boston è qualcosa di appena accennato simbolo di
una vita rigidamente programmata, un luogo da cui il protagonista, William
Andrews, si allontana influenzato dalle parole di Ralph Waldo Emerson per spingersi
ad Ovest, a Butcher’s Crossing ameno luogo del Kansas fatto di “poche tende e qualche baracca di fronte a
un gruppo di alberi più alti” spinto dal desiderio di scoprire quella
natura selvaggia del West e sentirsi libero, giovane, pronto a conoscere il
mondo. È il 1873 e l’oro dell’Ovest sono ancora le pelli di bisonte, animali
cacciati con ferocia da uomini solitari e a tratti minacciosi. Quella che il
ragazzo va cercando è quindi una natura che egli immagina come
“forma di libertà e bellezza, di speranza e vigore che gli sembrava alla base di tutte le cose più intime della sua vita, che pure non erano né libere, né belle, né piene di speranza o vigore.
Tutto quello che è convinto si trovi vivendo libero dai rigidi dettami della
vita borghese del mondo accademico, bensì negli spazi incontaminati laggiù nell’Ovest,
perchè “Ciò che cercava era l’origine e
la salvezza del suo mondo”.
Con una lettera di presentazione in mano e un posto sicuro
nell’ufficio di un commerciante di pelli di bisonte, Andrews forte della
spontanea imprudenza giovanile non si accontenta di una vita ordinaria e va
alla ricerca dell’avventura per la quale è giunto in quel luogo lontanissimo da
casa. L’incontro con Miller, misterioso ed esperto cacciatore del luogo, gli
consente di trovare l’avventura tanto agognata: i mezzi del giovane, l’esperienza
di Miller e la conoscenza di uomini fidati è tutto ciò che occorre per
organizzare un’impresa folle e grandiosa che il cacciatore va contemplando da
lungo tempo e che finalmente ha l’occasione di mettere in atto.
“[…] capì che la battuta di caccia che aveva concordato con Miller non era che uno stratagemma, un trucco per ingannare se stesso, per blandire le sue abitudini più radicate. Non erano certo gli affari a condurlo laggiù, dove ora stava guardando e stava per andare. Partiva in completa libertà. Partiva in libertà verso quelle pianure a ovest, verso quell’orizzonte che sembrava estendersi senza interruzione fino al sole al tramonto […]”.
Una caccia monumentale in una tanto a lungo vagheggiata valle
tra le montagne del Colorado popolata di un incredibile numero di bisonti dalle
pelli perfette. Un luogo impervio, difficile da trovare, un’impresa costellata
di pericoli e incertezze, che per Miller ha il sapore della sfida di tutta una
vita e per il giovane Andrews l’avventura in quei luoghi primordiali che tanto
andava cercando. Un viaggio difficile verso un luogo che solo Miller conosce,
mentre la fatica e il dubbio iniziano a crepare i rapporti nel piccolo gruppo,
ma grazie alla guida esperta e alla cieca tenacia del cacciatore riescono
infine a raggiungere la valle. Lassù tra le montagne incontaminate lavorano
duramente mentre Miller uccide senza sosta, spinto da una smania
incontrollabile che lo assorbe completamente, fino alla perdita della
concezione del tempo che inesorabile scorre pericolosamente: la natura
selvaggia non perdona e il gruppo viene sorpreso dall’inverno terribile tra le
montagne. Settimane e mesi di difficoltà, duro lavoro, tensioni solo in
apparenza sopite, interrogativi e incertezze, in attesa della primavera per far
ritorno trionfalmente a Butcher’s Crossing con quel carico incredibile di pelli.
L’impazienza di Schneider, lo scuoiatore dubbioso fin dall’inizio verso l’impresa
tentata da Miller di cui non si fida mai del tutto, contrasta con la cieca
fiducia che in lui ripone invece Charley Hoge, alcolizzato e fervente cristiano
che segue il cacciatore senza alcun dubbio; Miller rivela tra le montagne la
sua natura più animale e selvaggia, spinto dall’inappagabile desiderio di
uccidere tutta la mandria riunita in quella valle dell’abbondanza, una furia
primordiale che lo porta ad isolarsi dai compagni, comunicare sempre meno e
infine mettere le loro vite tutte in pericolo tentando di compiere l’impresa, primitivo
Achab che testardamente da la caccia alla sua balena incurante del pericolo,
mosso da un istinto quasi animale. E lassù, tra la fame e la fatica, Andrews
nella natura inviolata scopre se stesso abbandonare le incertezze di ragazzo
inesperto della vita e farsi uomo, mentre le domande che lo hanno spinto verso
tale avventura trovano altre ragioni. È la costante ansia di qualcosa che non
riesce a distinguere che lo accompagna in quelle lunghe giornate, allo stesso
modo in cui lo farà lungo la via del ritorno, tinta di una vaga nostalgia per
un luogo e un tempo che mai più torneranno uguali:
“Andrews sentiva che non sarebbe più stato lo stesso. Intuiva che si stava lasciando qualcosa alle spalle, qualcosa che avrebbe potuto essergli prezioso, se solo fosse riuscito a capire cos’era”.
Il ritorno alla vita è ancor più arduo ed incerto del
viaggio verso la valle dei bisonti: è una strada che non ha nulla del trionfo a
lungo immaginato e che li conduce in un mondo che non riconoscono, estraneo ben
più dei luoghi selvaggi in cui tanto a lungo sono rimasti, irrimediabilmente
mutato e perduto.
L’Ovest di Williams ha il sapore del romanzo di formazione,
ricerca di sé e della propria dimensione, un’avventura leggendaria in quelle
terre impervie della frontiera americana che è materia tradizionale ma che egli
usa come pretesto per costruire la sua storia di lotta, tenacia, dubbio ed
ansia di vivere. Un grande maestro, fortunatamente riscoperto, che anche questa
volta riserva ai suoi lettori una storia originale, un punto di vista inusuale
pervaso di sottile ironia sullo spirito americano del Destino Manifesto.
Debora Lambruschini