€
19
L’opera si estrae da voi, voi siete la sua miniera, si trova in voi e si trae da voi. Dopo che ne avrete fatto esperienza aumenterà l’amore in lei.
Morieno
Romano
Quanto scritto dall’oscuro alchimista
Morieno Romano (il cui trattato, tradotto dall’arabo in latino nel XII secolo
da Roberto di Chester, segnò l’inizio dell’effettiva diffusione dell’alchimia
del mondo Occidentale) può essere utilizzato per descrivere il senso
dell’edizione integrale di Sophia
l’opera “capolavoro” (nel senso artigianale del termine, ovvero prova di
abilità) dell’illustratrice cagliaritana Vanna
Vinci. Una storia di una ragazza alle prese con la vita, la morte, l’amore
e l’alchimia. Una storia virata su tre colori, su tre fasi, che ricalcano
quelli dell’Opera: nigredo di colore nero, albedo di colore bianco e rubedo di
colore rosso. Un tricolore ideale sorto tra gli scogli selvaggi della Sardegna, le vie afose di Bologna, i
decadenti palazzi di Roma e i sotterranei di Parigi.
Sophia è una ragazza di poco più di
trent’anni, libera e incostante come sanno essere solo le folate di vento sul
litorale. È una disegnatrice di fumetti e il sospetto è che stia disegnando ciò
che sta vivendo in prima persona (la vita sarà pure sogno, ma è anche opera). Ma è anche, forse soprattutto in certi casi,
un’appassionata di alchimia. Questa passione però, come spesso si legge in
romanzi e romanzucoli (o anche nelle struggenti opere di Carl Barks con protagonista
quell’assoluto crac di personaggio che risponde al nome di Paperon de Paperoni)
è alchimista non per “fame d’oro” bensì perché all’alchimia ella collega i
ricordi più dolci d’infanzia, di quando da piccola, sempre nel “natio borgo
selvaggio” della Sardegna, assieme ad Ermete, storico amico di famiglia,
scopriva case abbandonate ricolme di segni alchemici.
Quindi la ricerca dell’alchimia per
Sophia (che ricordiamo si definisce sempre “amante/amatrice”, quindi non
professionista di questa materia) è un po’ anche una ricerca della giovinezza,
anzi per meglio dire dell’infanzia perduta. Per questo la protagonista
dell’opera viene spesso colta come annoiata, scostante, sempre un po’
dall’aspetto arruffato e in bilico. Perché non ha ancora voluto recidere il
cordone ombelicale che la tiene stretta a quei ricordi di quando le estati
erano lunghe, calde e senza pensieri.
Ma l’alchimia che si fonde nella vita la
richiamano all’ordine, anzi ad un ordinato disordine. Prima la decisione di
trasferirsi a Bologna per lavoro (città alla quale è dedicato tra l’altro il
volume), poi un incontro fortuito con un amore schizofrenico rappresentato dal
bel Rino, che si occupa di profumi e vede il mondo con il suo naso, portano Sophia a fare i conti con la realtà. Da qui, tra
alterne vicende, si sviluppa una sorta di doppio binario: da un lato la vita
ordinaria di Sophia, tra dubbi, paure, gioie di tutti i giorni e dall’altra la
ricerca dell’elisir di lunga vita.
Come ci è stato tramandato, Ermete
Trismegisto, il mitico capostipite della gilda degli alchimisti, sosteneva che
“Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che
è in basso”, anche in Sophia non c’è una reale separazione tra questi due piani
narrativi, perché vita e ricerca, caducità e immortalità sono due facce della stessa
medaglia. Durante la sua ricerca la nostra protagonista incontra i personaggi
più disparati che la matita di Vanna Vinci riesce a tratteggiare in modo
indimenticabile, dando a tutti loro un’anima specifica, immediatamente
riconoscibile anche dopo poche tavole.
È un racconto fatto anche di viaggi, di
piccoli e grandi viaggi che ricalcano i grandi e grandissimi viaggi che
dovettero fare gli alchimisti per erudirsi. Perché un’altra cosa che è
contenuta in quest’opera (con la lettera minuscola) è gli alchimisti, oltre che
uomini molto curiosi, furono anche, in epoche in cui questa pratica non era
così semplice come oggi, dei grandi viaggiatori per apprendere i rudimenti
necessari per l’Opera (questa volta con la lettera maiuscola). Così si spiegano
i continui vagabondaggi che fa Sophia. E non importa che ella debba tornare a
Cagliari oppure vada a Parigi o prenda il treno per una capatina nella bassa
ferrarese. Non è la distanza a “pesare” bensì il fatto di muoversi, di non
stare ferma, altrimenti ci si annoia, ci si blocca e si diventa immortali.
Infatti tutti gli immortali (alchimisti
in genere o anche semplici persone che ne sono venute a contatto) che Sophia
incontra nelle sue peregrinazioni (da Nicholas Flamel al conte Saint-Germain,
da una cantante romana di più di 500 anni a un bibliotecario ormai ultra
trecentenne) sono tutti affetti dal terribile morbo della noia, che li
attanaglia senza che essi possano farci nulla. Ecco perché Sophia, in tutta la
storia, non è mossa tanto dalla ricerca dell’immortalità ma dalla ricerca
stessa. Ed esemplare, in questo senso, lo scambio di battute che ha, in
un’osteria romana, con un nobile immortale:
Conte: “Può permettere di fare finta di essere immortale…”Sophia: “Forse l’immortalità non mi interessa … magari sto solo cercando uno scopo … qualcosa da cercare…”
Qui viene condensato una chiave di
lettura del libro. Ciò che Sophia cerca non è la pietra filosofale né l’elisir
di lunga vita: ella cerca semplicemente uno scopo nella sua vita. Un’opera molto più ardua
dell’Opera stessa.
Ma per far ciò, perché la ricerca sia
veramente fattiva, la protagonista ha bisogno di conoscere la morte. Ed ecco
che il suo amico (“Quasi un padre per me”) Ermete, dopo una lunga malattia, si
lascia morire. Sophia conosce la morte e cambia, come in
un’operazione alchemica. Tutta la storia si snoda come se fossimo di fronte ad
un trattato di Alchimia. Bisogna passare dalla morte per approdare alla vita e
viceversa.
Sophia è la conoscenza, Rino è l’amore,
il bibliotecario Lucas la parte oscura, Saint-Germain quella folle e la
cantante romana la stasi. Si potrebbe raccontare Sophia usando queste figurine esemplificative, ma non basterebbe.
Occorre invece lasciarsi trasportare dalla bramosia di sapere “come va a
finire”, senza arrossire se si è colti da una smania paragonabile ai dotti
medievali alla ricerca del Secretum
Secretorum di Aristotile.
Alla fine
l’alchimia non è che una serie di passaggi, come la vita. C’è chi la vita la
passa a contemplare come se fosse immortale e chi la passa a macinare
chilometri. Il mulino di Amleto, che segna il tempo, macina i secoli.
Considerato che tra spazio e tempo, ce l'ha detto e ridetto la fisica quantistica o Interstellar di Christopher Nolan, in fondo, non c’è tutta questa differenza: a voi la scelta.
Curami
curami
prendimi
in cura da te
curami
curami
che
ti venga voglia di me
curami
curami
CCCP, Curami
Tavole riprodotte per autorizzazione della casa editrice
Social Network