La felicità è dietro l'angolo (se smetti di cercarla): la "legge del contrario" di Oliver Burkeman

La legge del contrario
di Oliver Burkeman

Mondadori, 2015

trad. italiana di Michele Piumini

pp. 216, 19 €



«La natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma il bisogno; vero bisogno, come quel di cibarsi. Perché chi non possiede la felicità, è infelice, come chi non ha di che cibarsi, patisce di fame. Or questo bisogno ella ci ha dato senza la possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo. Gli animali non han più di noi, se non il patir meno; così i selvaggi: ma la felicità nessuno.»
(Giacomo Leopardi, Zibaldone, 27 maggio 1829)

Ho aperto La legge del contrario con grande fiducia, sicura che vi avrei trovato risposte e suggerimenti utili alla mia personale ricerca della serenità: pensare positivo, vedere il bello delle cose, cogliere il lato migliore degli eventi non fa per me, mi dicevo; Burkeman propone un metodo completamente contro-tendenza, perché non provare? Ero attratta soprattutto da quel sottotitolo: Stare bene con se stessi senza preoccuparsi della felicità. Semplice, diretto. Non mi ha deluso. La quarta di copertina recita: “un inno al potere del pensiero negativo”, ma c’è di più.

Oliver Burkeman è uno stimato giornalista e scrittore inglese, reporter da New York per The Guardian; la sua rubrica di psicologia This column will change your life (il cui titolo immagino non sia stato scelto da lui, vista la disistima che manifesta a più riprese per  i «guru del pensiero positivo») è seguitissima e viene pubblicata in Italia dalla rivista Internazionale. I contenuti dei suoi articoli sono quasi sempre soluzioni originali – e controintuitive – e riflessioni sorprendenti su problemi comuni (ad esempio, Se voletediscriminare, fatelo bene e La nostra creatività aumenta se ammettiamo di averne paura).

Aprendo La legge del contrario (mirabilmente tradotto da Michele Piumini) si viene sommersi da una lunga serie di personaggi, immagini, pensieri e messaggi che sono profondamente negativi. Vorresti essere felice? Inizia ad accettare il fallimento, alimenta il dubbio, pensa quotidianamente alla morte, rifletti su tutti i fastidi, i contrattempi e le incertezze che le tue relazioni implicano. È questa la via negativa alla felicità: «imparare ad apprezzare l’incertezza, a smetterla di cercare di pensare positivo a ogni costo, a familiarizzare con il fallimento e persino a valorizzare la morte».

Il metodo, o meglio l’insieme dei metodi che Burkeman ci propone trovano in un’immagine efficace la loro motivazione di esistere. Per capire cos'è la via negativa alla felicità, dice Burkeman, basta pensare alle manette cinesi: si tratta di un tubicino composto da due cartoncini intrecciati alle cui estremità si infilano gli indici. Viene naturale, per liberarsene, tirare via le dita ma questo non fa altro che restringere il tubicino, impedendo l’uscita. È un po’ quello che accade a tutti coloro che ricercano la serenità affidandosi a manuali e corsi di self-help e pensiero positivo: tutti vengono incitati a pensare positivo, evitare le riflessioni più lugubri, gli scoraggiamenti, le paure individuali. Tutti, indistintamente, scoprono che più cerchi di evitare queste cose e più la tua mente ne produce in quantità elevatissime.

L’unica cosa che si può fare, osserva Burkeman, per liberarsi dalle manette cinesi è fare la cosa più illogica: spingere un dito verso l’altro. Addentrandosi nel tubo, questo si allargherà permettendoci di uscire. La via negativa alla felicità è questo: fare la cosa più illogica per arrivare al risultato sperato. Presentandoci una serie di personaggi affascinanti, lo scrittore ci introduce a filosofie di vita o anche solo a cambiamenti di prospettiva inediti: lo stoicismo; il buddismo; la riflessione sul fallimento; il guardarsi dalla traguardomania; il rispetto per la morte praticato nella società messicana e il memento mori di origine romana. Realtà che possono apparire lontane, nel tempo e nello spazio, dalla nostra condizione attuale, ma che rivelano a una analisi più approfonda la stretta contemporaneità dei loro messaggi. È stoico l’atteggiamento che ci porta a distinguere tra le cose così come sono e la nostra reazione a esse: non sono le prime a recarci danno o infastidirci ma solo la seconda. Le cose non possono essere modificate (non sempre, almeno), il nostro atteggiamento sì. È stoica la premeditazione dei mali: provare a immaginare, in ogni situazione, le ipotesi peggiori che possano verificarsi. Distinguere tra eventi molto negativi ed eventi assolutamente terribili, così da dare un confine a paure sconfinate. La filosofia buddista, che mi ha affascinato più di ogni altra, aiuta a combattere l’attaccamento verso le cose: se il dolore è inevitabile per ogni essere umano, la sofferenza è accessoria e deriva da questo attaccamento, ovvero dal negare l’impermanenza intrinseca di ogni cosa.

“La legge del contrario” è anche un ricettacolo di aneddoti divertenti che portano a messaggi profondi, ma dati con leggerezza (non superficialità). La visita al Museo dei Bidoni in Michigan per esempio, dove sono raccolti tutti quei prodotti che si sono rivelati clamorosi errori commerciali, come birra con caffeina, pacchetti di mentine pericolosamente somiglianti a panetti di crack e altri oggetti assolutamente inacquistabili e imbarazzanti. Eppure, riflette Burkeman, il 90% dei prodotti in commercio si rivela un fallimento. La storia dell’economia mondiale è dunque una storia di fallimento. Di più, la storia di ogni singolo individuo è una storia di fallimento: per quanti successi tu abbia, finirai per ammalarti e morire, prima o poi.

Accettare il fallimento, conoscerlo e riflettere su di esso è la chiave per avere successo; ma è anche, più profondamente, la chiave per giungere a una serenità più completa e vera: se si accetta di sbagliare, ci si rilassa. L’errore della nostra società è stata l’associazione graduale e ormai imprescindibile dei concetti di identità e raggiungimento degli obiettivi: con lo sviluppo del capitalismo industriale e la nascita delle società di rating creditizio (che avevano il compito di valutare l’affidabilità degli individui che chiedevano prestiti in banca) si è passati da forme idiomatiche come “quell’uomo ha fallito” a “quell’uomo è un fallito”. In questo modo, il fallimento diventa un affronto personale, una lettera scarlatta cucita addosso. È questa costruzione che dev’essere combattuta. Abbracciare incertezza, fallimento, precarietà della vita e pensieri di morte, ci conduce a una ridefinizione del concetto stesso di felicità, meno vicina all’eccitazione incontrollata e più simile a uno stato di benessere psicoemotivo, in definitiva più auspicabile perché meno alterabile.
In condizioni come quelle attuali, di precariato professionale, emotivo, sentimentale e identitario, La legge del contrario e la via negativa rappresentano non solo un metodo affascinante nel suo discostarsi deciso dalle convinzioni da pseudo setta del pensiero positivo, ma anche l’unica via percorribile per giungere a quell’equilibrio psicoemotivo così necessario.

Quello che più stupisce de La legge del contrario è il suo sconfinare i limiti del genere di appartenenza: è, sì, un libro da leggere con attenzione, è il saggio che avrei voluto studiare all’università perché più di ogni altro prepara all’incertezza e alla precarietà (anche mentale) del mondo del lavoro. Ma è anche un libro da sfogliare per puro piacere, godendo degli incontri dell’autore con personalità di spicco e dei suoi tentativi maldestri di aderire alle filosofie più disparate (come quando, in metropolitana, decide di ripetere ad alta voce il nome di tutte le stazioni attraversate, affrontando così la sua paura di essere guardato e giudicato dagli sconosciuti e scoprendo quanto essa sia piccola e insignificante).

Infine, è un vero e proprio pamphlet da riaprire e consultare con devozione, quando ci sembra che niente stia andando per il verso giusto: abbandonando le nostre manie di perfezionismo e la nostra fame di certezze per riscoprire che, sorprendentemente, l’imperfezione è un bel posto dove vivere.

Barbara Merendoni