L’esorcista
di William Peter Blatty
Fazi, 2016
pp. 427
€ 14,00
Titolo originale: The Exorcist
Traduzione di Cristiano Peddis
Per chi non ama il genere horror, scegliere di leggere L'esorcista è un azzardo. Il titolo del volume del 1971 (ora ristampato da Fazi nella collana Darkside) viene immediatamente associato alle immagini del film che ne è stato tratto due anni dopo: quindi musichette agghiaccianti, teste che ruotano su se stesse di 360 gradi, fluidi organici di vario genere, corpi che levitano o si piegano in angolature impossibili, notti insonni (per i protagonisti e gli spettatori). Chi sceglie di leggere L'esorcista senza amare tutto questo è un coraggioso, e il suo coraggio viene ripagato con l'inaspettato: perché, nel suo libro, Blatty riesce nel non banale intento di coniugare due generi, l'horror e il thriller psicologico. La possessione della piccola Regan da parte di uno spirito maligno non viene data per certa, ma continuamente rimessa in dubbio da parte degli stessi protagonisti: la madre, Chris MacNeil, donna atea, forte e razionale; Damien Karras, sacerdote in crisi e psichiatra di fama, che si ostina nel ricercare spiegazioni mediche a fenomeni paradossali; l'ispettore Kinderman, uomo di spirito e grande dissimulatore, che arriva pian piano alla verità, pur non riuscendo a spiegarsela fino in fondo.
Più che sull’esorcismo della bambina, il romanzo è incentrato sulla psicologia dei personaggi: l’autore osserva, e descrive minuziosamente, come la vita apparentemente regolare di una serie di individui viene alterata dall’irruzione di un evento inspiegabile e inaffrontabile, come i caratteri stessi ne vengono irrimediabilmente trasformati. Di fronte alla minaccia del diavolo, ognuno è chiamato a confrontarsi con la verità di se stesso, con la propria morale, con le proprie paure. Esiste un’alternativa alla possessione, quella della malattia mentale, che rimane ingombrante al centro dello scenario narrativo e costituisce il pretesto per ripassare la storia dei fenomeni occulti: quanto sono credibili i casi accertati di invasamento? Quali spiegazioni possibili esistono e quale posizione deve assumere la Chiesa, che in casi simili viene coinvolta in qualità di giudice e risolutore? La risposta è un invito alla prudenza, formulato da un personaggio complesso e affascinante che si colloca in equilibrio tra due mondi, quello della fede e quello della scienza, quello della religione e quello della medicina. Padre Karras è uno di quei soggetti romanzeschi che si impongono alla mente del lettore e occupano tutto lo spazio disponibile: fragile e forte al tempo stesso, rude ma gentile, tormentato da sensi di colpa e da un passato non semplice, vorrebbe opporre la logica all’ignoto, ma si rende presto conto che questa non è la strada giusta. L’unica via possibile per allontanare il male non è infatti quella della medietà, della conciliazione, del compromesso. La via giusta è quella dell’adesione totale, della fede piena, dello sbilanciamento della propria esistenza, dell’accettazione di una morale dell’azione e non semplicemente del sentimento.
Non è facile per il lettore ammettere che padre Karras potrebbe non essere il vero protagonista, non essere l’esorcista a cui rimanda il titolo. Quando appare Lankester Merrin si ha un improvviso rovesciamento di prospettive, perché appare subito chiaro che lui è tutto quello che l’altro non riesce a essere: padre Merrin è l’uomo che ha attraversato il dubbio e ne è uscito più preparato, è quello che riesce a diffondere serenità con la sua sola presenza, quello che non si pone il problema della riuscita perché sa che non esistono alternative alla lotta. E la lotta contro il diavolo, che in base all’etimologia greca altri non è che colui che separa, il seminatore di discordia, non è qualcosa che riguarda l’eccezione, il singolo caso straordinario, bensì la vita di ogni giorno:
La possessione, ecco, non è nelle guerre, come tanti credono che sia, e molto raramente è in situazioni straordinarie come quella che stiamo vivendo noi ora, qui… […] No, io la vedo spesso nelle piccole cose della vita, Damien, nell’insensibilità, nei piccoli rancori, nelle incomprensioni, nelle parole crudeli e sferzanti che si dicono, spesso senza volere, nelle discussioni tra amici (p. 394).
Il rituale dell’esorcismo, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, inizia soltanto nell’ultima parte del romanzo perché è necessaria una lunga preparazione precedente: una preparazione che non è tanto materiale quanto mentale. In quello che assume insospettabilmente l’aspetto di un Bildungsroman, Padre Karras deve crescere e formarsi, deve imparare ad accettarsi nella propria pochezza, nella propria miseria di essere umano, per poter degnamente affiancare l’esorcista e, al momento opportuno, riacquistare il proprio ruolo centrale nell’economia narrativa.
Carolina Pernigo