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#CriticaNera - Nicola Manuppelli, "Merenda da Hadelman"

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Merenda da Hadelman
di Nicola Manuppelli

Aliberti Compagnia Editoriale, 2016
collana The Outlaws

pagine 252




Nei ricordi d'infanzia di chiunque c'è un posto per il solaio dei nonni, quel posto favoloso stipato di bauli pieni di vecchi vestiti, giornali d'epoca e cianfrusaglie di ogni tipo. Nel mio caso i ricordi non tornano a un solaio ma a una cantina, pulita e ordinata, con tanti scaffali da esplorare alla ricerca di oggetti mitici (termine, per una volta, usato a proposito) come il materiale da campo del Regio Esercito per le trasmissioni Morse che il nonno aveva riportato dalla guerra in Jugoslavia nel Quarantadue, con tanto di cuffie e manopola del telegrafo.
Il ricordo di quella cantina, però, va soprattutto alla raccolta di Gialli Mondadori e di altri romanzi polizieschi della zia, appassionata e vera conoscitrice del genere. Roba di primissima scelta, una sequela di copertine a firma di Jacono e Pinter, capolavori su cui l'occhio poteva indugiare per ore intere.
È in quella cantina dove un bambino aveva giocato al telegrafista che, nei tardi anni Settanta, un adolescente scopriva l'esistenza della letteratura poliziesca americana. Ellery Queen, Donald Westlake, John D. Macdonald, Raymond Chandler divennero all'improvviso, e per lungo tempo, le mie letture quotidiane.


Ed è in quella cantina - da anni, ahimè, svuotata di ogni tesoro - che mi è parso di ritornare come per magia leggendo Merenda da Hadelman, romanzo poliziesco di Nicola Manuppelli, pubblicato proprio oggi per i tipi di Aliberti.
Manuppelli, attivo da tempo come traduttore di autori americani del calibro di Robert Ward, A.B. Guthrie, Andre Dubus e come docente in corsi di avvicinamento alla letteratura d'oltreoceano, è qui alla seconda uscita come romanziere, dopo Bowling (Barney Edizioni, 2014).


Un romanzo ben costruito, una storia che riconduce ai gialli degli anni che furono. Il personaggio principale è un ex poliziotto disilluso e un po' cinico, con problemi di vario genere ma che ha conservato la capacità di riflettere costruttivamente sul mondo e sulla vita e ben poco ha a che fare con lo stereotipo dell'antieroe alcolizzato, sofferto e maledetto (e prevedibile, e scontato, aggiungerei) cui la letteratura di genere ci ha abituati negli ultimi venti-trent'anni.

La trama ci porta in una calda periferia milanese che tanto assomiglia ai neighborhood losangelini, dove il protagonista si trova invischiato in una catena di eventi e di situazioni pericolose che lo costringeranno a lottare per uscirne vivo e per proteggere alcune persone a lui vicine.

L'intreccio è convincente, non ci sono aspetti inutilmente cruenti né violenza fine a se stessa, tutto è calibrato in modo da mantenere alta la tensione durante la lettura, i personaggi sono interessanti e credibili (forse qualcuno un po' meno, ma è un dettaglio), il tutto è narrato con una vena ironica appena percettibile ma proprio per questo preziosissima. Insomma, un hard boiled come non se ne leggevano da un bel pezzo.
Il finale, poi, è parzialmente aperto, in modo da non escludere a priori un eventuale seguito. La cantina dei nonni aspetta.

Stefano Crivelli