di Gianrico Carofiglio
Laterza, 2017
pp. 176
€ 10,00
Abbiamo una responsabilità finché viviamo:
dobbiamo rispondere di quanto scriviamo,
parola per parola, e far sì che ogni parola
vada a segno.
Primo Levi
Gianrico Carofiglio fa centro un'altra volta. Con il suo breve saggio, l’autore va a toccare un argomento nevralgico per l'epoca dell'analfabetismo funzionale, dei social network, dell'evanescenza della notizia, della parola leggera e avventata: quello della solida connessione che sussiste tra l'espressione (verbale e scritta) e la moralità, pubblica e individuale. Nel definire la scrittura civile "una scrittura limpida, onesta e democratica; rispettosa al tempo stesso delle parole, dei loro destinatari, delle idee", l'autore dimostra a più riprese che la precisione e la cura hanno sempre a che vedere con l'etica: dietro ogni forma di scrittura si cela infatti un "dovere di verità" che troppo spesso viene dimenticato.
A ogni parola si chiede un'adesione a un principio di "giustezza", ovvero a una felice quanto ambiziosa concomitanza di "correttezza, realtà, verità, pertinenza, esattezza, precisione" (10). E se nella produzione poetica e narrativa la giustezza della parola può essere associata a una vaghezza richiesta dal contesto, lo stesso non si può dire per la scrittura professionale rivolta ad usi pratici, dalla politica al diritto, dal giornalismo all'accademia. La scrittura istituzionale e civile, infatti, deve necessariamente essere precisa, perché la parola precisa ha valore performativo, è capace di incidere sulla realtà e modificarla; al contrario, la parola approssimativa diventa un mezzo per confondere l'utente, rimarcare i rapporti di potere, compiacere l'ego del formulante, talora ingannare il fruitore.
La comprensione dei contenuti è fondamentale per il vivere civile, poiché costituisce la base del meccanismo democratico, in cui il cittadino è chiamato a intervenire con coscienza nel dibattito pubblico. Come osserva Carofiglio, alla base della democrazia
c'è un presupposto su cui non si riflette mai abbastanza: la cura delle parole. Quando i progetti politici diventano slogan pubblicitari, quando le metafore divengono strumenti manipolatori, le parole perdono precisione e senso. Perdono dunque la loro fondamentale funzione di strumenti dell'intelligenza critica. [...] La democrazia lascia così il posto alla demagogia (47).
Per questo è tanto più importante arrivare al succo dei discorsi, eliminare il superfluo, risalire alla verità di senso dell’enunciato. A rendere più semplice una operazione in realtà assai complessa vorrebbe contribuire la seconda sezione del libro, cioè il "breviario di scrittura civile" vero e proprio: un manuale pieno di indicazioni operative per rendere la scrittura giuridica trasparente e "leale". In molti ambiti - da quello legale a quello aziendale, dall'amministrativo al politico - ci si trova nella condizione di adottare un linguaggio formale all'interno di rapporti necessariamente asimmetrici, in cui una delle due parti occupa una posizione di potere e superiorità rispetto all'altra: il capo che si rivolge al dipendente, il Pubblico Ministero all'imputato, il funzionario del Comune al cittadino. In simili situazioni sarebbe assolutamente necessario agevolare la comunicazione, creando un contatto reale tra individui che afferiscono a contesti esistenziali (e linguistici) spesso molto diversi. Purtroppo allo stato attuale delle cose non è così: il linguaggio specialistico del diritto e della burocrazia è inaccessibile a tutti, se non agli addetti ai lavori, e spesso persino a loro. È con ironia che Carofiglio cita (e smonta sistematicamente) incomprensibili esempi di "legalese", mostrando come sarebbe più semplice riformularli in una versione più limpida e immediata. Bersaglio principale della sua polemica è quella che Calvino, modello sempre presente con le sue Lezioni Americane, definisce un'antilingua. L'antilingua è un'entità artificiale e mostruosa, priva di agganci col reale e anzi del reale deliberata negazione:
la motivazione psicologica dell'antilingua è la mancanza d'un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l'odio per sé stessi. La lingua invece vive solo d'un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d'una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa l'antilingua [...] la lingua viene uccisa (107).
Carofiglio non esprime, va detto, idee originali o radicalmente nuove, anzi conduce la sua argomentazione attraverso una raccolta e collazione di fonti autorevoli, ma le scelte sono intelligenti e il volume che ne risulta è un libriccino agile e accattivante, tutto da sottolineare e da citare. A corredo e dimostrazione dell’operazione compiuta, si trova inoltre un apparato bibliografico commentato e ricchissimo di spunti e approfondimenti.
Il pregio maggiore dell’opera rimane comunque il pensiero di fondo: la convinzione, più volte ribadita, che sia necessario un aumento di consapevolezza nell’uso della lingua, in grado di riportare il mondo delle istituzioni ad un contatto più genuino con l’etica e la verità.
Carolina Pernigo