di Umberto Eco- Romanzo illustrato
Bompiani, 2004
pagg. 445
Prezzo: 19 €
Se già con Baudolino e L'isola del giorno prima si parlava della fine dell'ispirazione di Eco, ecco che abbiamo con questo romanzo il terzo fallimento della serie. La critica ha stroncato l'opera, appena pubblicata. A parer mio, se anche non perfetto e non scorrevolissimo nella narrazione, non si può gettar fango sul primo romanzo (nascostamente) autobiografico di Eco. Scrivo autobiografico, perché dietro al protagonista Yambo, libraio antiquario del milanese, privato della memoria in seguito a un incidente, c'è nascosto più autore di quanto possa indicare l'io narrante in prima persona. Sono le sue stesse memorie, recuperate a tratti, secondo fiammate (da qui il titolo) momentanee a far pensare a quelle dell'autore, a cominciare dalla sua stessa epoca storica. Attraverso la prima sezione del libro - quella che, personalmente ho apprezzato maggiormente - Yambo si sveglia dal coma e comprende di aver mantenuto solamente la memoria enciclopedica di un appassionato letterato, ma di non ricordare nulla della propria vita. Le persone che gli ruotano accanto non sono altro che visi sconosciuti. Ecco l'inizio del romanzo, in grado di conquistare la curiosità di chiunque, con una sottile vena di intellettualismo:
«E lei come si chiama?».«Aspetti, ce l'ho sulla punta della lingua».Tutto è cominciato così.Mi ero come risvegliato da un lungo sonno, e però ero ancora sospeso in un grigio lattiginoso. Oppure, non ero sveglio ma stavo sognando. Era uno strano sogno, privo di immagini, popolato di suoni. Come se non vedessi, ma udissi voci che mi raccontavano che cosa dovessi vedere. E mi raccontavano che non vedevo ancora nulla, salvo un fumigare lungo i canali, dove il paesaggio si dissolveva. Bruges, mi ero detto, ero a Bruges, ero mai stato a Bruges la morta? Dove la nebbia fluttua tra le torri come l'incenso che sogna? Una città grigia, triste come una tomba fiorita di crisantemi dove la bruma pende slabbrata dalle facciate come un arazzo...La mia anima detergeva i vetri del tram per annegarsi nella nebbia mobile dei fanali. Nebbia, mia incontaminata sorella... Una nebbia spessa, opaca, che avviluppava i rumori, e faceva sorgere fantasmi senza forma... Alla fine arrivavo a un baratro immenso e vedevo una figura altissima, avvolta in un sudario, la faccia del candore immacolato della neve. Mi chiamo Arthur Gordon Pym...
Nella seconda sezione del libro, intitolata 'Una memoria di carta', Yambo torna alla casa natale, sperando di recuperare i suoi ricordi visitandoli e toccandoli con mano nella vecchia soffitta. E' questa occasione per inserire parecchie pagine e divagazioni - troppe, talvolta - sull'epoca anti-fascista e fascista, quando Yambo era poco più che bambino e viveva ancora con il nonno, letterato e collezionista di documenti, libri, giornali, dischi contemporanei. Qui Yambo torna ad apprezzare e a criticare elementi della sua infanzia, domandandosi sempre: ma allora, come li vedevo? In questa parte, purtroppo, la narrazione si rallenta parecchio, proprio come se lo stesso personaggio decidesse di sedersi in soffitta e soffermarsi su tantissimi ricordi.
Fortunatamente, la situazione di stasi che troviamo nella seconda parte si scioglie, non appena Yambo ricostruisce la storia del nonno e anche la propria, pezzo dopo pezzo, dirigendosi verso una fine quanto mai inaspettata. Personalmente, la prima manciata di pagine prometteva un romanzo più che piacevole, direi memorabile. Invece, lo svolgimento non appaga le aspettative iniziali.
Gloria M. Ghioni