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Un semplice parere senza pretese su Madame Bovary

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Madame Bovary. E si parla di letteratura Francese con la F maiuscola, come l'iniziale dell'autore, Flaubert, per un romanzo ottocentesco che ha fatto palpitare tanti cuori della società borghese parigina, fino a spingersi agli strati più bassi - si pensi alle edizioni così variegate dei primi anni -. Emma Bovary, un personaggio che avrebbe trovato ottimo posto tra le "Heroides" di Ovidio, se solo fosse stato possibile. Talentuosa, borghese, gran cuore e aspirazioni, ma comunque tanto sfortunata in amore: sedotta e abbandonata da un visconte prima, e poi delusa dal rapporto con Leone, aiuto del notaio, suo primo amore. Il tutto, per giunta, all'interno di relazioni adulterine: inaccettabile, lì per lì, per una Francia ottocentesca in pieno romanticismo. Solo con un finale triste - strappalacrime, ma forse solo per gli animi simil-ottocenteschi - Flaubert riesce a tamponare lo scandalo. Che sarebbe successo, infatti, se la piccola Emma avesse realmente coronato il suo sogno di fuga con il visconte? Uno scandalo, per l'appunto. Invece così, con il suicidio di Emma (mi permetto di accennare al finale, dal momento che è ampiamente conosciuto), tutto torna al giusto posto: Bovary, devoto marito, colpevole di troppa ingenuità, si trova a fronteggiare la realtà della corrispondenza extra-coniugale di Emma, mentre la casa viene svuotata per ipoteca. Una deriva, insomma. Piuttosto interessante, invece, è il finale "periferico" del romanzo: nell'ultima pagina si legge la cosiddetta happy-end per un personaggio marginale all'interno dell'opera, farmacista e amico di famiglia, che riesce ad ottenere un tanto desiderato premio attraverso mezzi non propriamente morali. Attenzione, sembra suggerire Flaubert, i vincitori non sono mai né i sentimentali come Emma, né gli illusi come il dottor Bovary. Chissà, forse quest'ammonimento è ancora vivo e sacro, nonostante i centocinquant'anni abbondanti che ci allontanano dallo scrittore.

Anathea