E le altre sere verrai?
di Philippe Besson
Guanda, 2006
La narrazione statica e introspettiva di Besson attrae dalla prima riga, in parte forse per la situazione realistica che arriva a descrivere: una scrittrice di commedie abitudinaria, una sera come un'altra, si trova al bancone del solito bar, a disquisire con il barista in attesa del suo Martini. Sempre, ogni sera. Ogni sera, barista e Martini. Stasera però lei attende il suo nuovo compagno, e non certo il suo ex fidanzato col quale aveva trascorso cinque anni della sua vita.
La conversazione inizia lentamente, in modo circospetto e Besson intervalla le rare battute che occupano l'intero svolgimento della vicenda con i pensieri dei personaggi, resi mirabilmente attraverso l'uso frequente di discorso indiretto libero. Così, già prima della metà, i personaggi sono tanto vividi da apparire conosciuti e sfido chiunque affermi di non essersi mai immedesimato in uno dei protagonisti: la situazione, sebbene sia determinata da nomi, luoghi e date, racchiude l'universalità delle relazioni amorose, dall'inizio idilliaco alla fine sofferta.
Mentre i personaggi si studiano, sembra sempre che entrambi sospendano un non-detto che racchiude l'insieme di domande che vorrebbero porsi, ma attendono, perché la separazione li ha fatti soffrire. Non invano, però, dal momento che il barista rivede in loro la stessa coppia che qualche anno prima sedeva allo stesso tavolo, ogni sera.
E' incredibile e alquanto curioso pensare che fu proprio questo quadro di Hopper che sta in copertina ad aver ispirato Besson per la nascita del romanzo: "E mi è venuta una voglia incontrollabile di raccontare la storia della donna con l'abito rosso, e dei tre uomini attorno a lei, e di Cape Cod", disse. Personalmente trovo che la narrazione veloce e sperimentale di Besson abbia in ogni piccola e corta frase la consapevolezza di chi davvero è padrone delle parole e sa, senza esibirsi in inutili intellettualismi, che un pensiero semplice ben espresso può restare impresso nella memoria, per sempre.
GMG