Ti prendo e ti porto via: romanzo di formazione di una generazione senza più certezze
Ti prendo e ti porto via
di Niccolò Ammaniti
Mondadori, 2000
Era un pomeriggio come tanti altri, quando il libro di Ammaniti è finito nel carrello del supermercato. Miti Mondadori, un acquisto intelligente, mi dico: premesso che non è il mio stile preferito di narrazione, mi dico che è sempre bene tenersi informati su quelli che vengono definiti “nuovi fenomeni letterari”. In fondo, dopo aver letto sia “Io non ho paura” e “Branchie”, già avevo sillabato l’aggettivo “grande” accanto a Niccolò. Così, con questo malloppo di quattrocento-e-passa-pagine finisco la giornata, finisco la spesa e torno a casa. Poi, quella sera, ho aperto per caso le prime pagine. Nella prima, citazione di tre canzoni che conosco: promette bene. E incuriosisce, soprattutto.
La scrittura di Ammaniti mi attacca in primis, con quelle frasette paratattiche che leggo in fretta, una dopo l’altra, ben scandite dal punto-e-a-capo quando serve. Mi immergo nella storia di Pietro e di Gloria – sorrido nel trovare un’omonima -, due studenti alla fine della seconda media. Lei promossa. Lui bocciato. Da questo presente pieno di delusione, di apre un flashback profondo, pieno di storie parallele, come quella del playboy Graziano Biglia e delle sue love stories. Lì, in quel gran putiferio di personaggi che spuntano come gramigna, mi sono sentita avvolta dalla trama di Ammaniti, dai bei risvolti psicologici che intervallano la narrazione. All’inizio confesso di essermi detta: “Ecco, l’ennesimo libro pieno di parolacce e farcito di volgarità”. In effetti, se non si entra nello spirito con cui Ammaniti deve averlo scritto, l’impressione rimane; invece, bisogna capire l’attenzione alla psicologia paesana, moralista in apparenza e gretta, squallida e cinica. Infatti, di ogni personaggio Ammaniti traccia una descrizione che sembra quasi auto-presentazione, e non lesina niente, né difetti, né caricature dei personaggi, in una realtà tragi-comica. Così il realismo è farcito di particolari credibili – magari insensibili e impudenti, ma credibili –, tanto da far affezionare chiunque al personaggio.
Per quanto riguarda lo stile, ho notato una certa affinità con quello di Stephen King: stessa predilezione per gli adolescenti – in particolare per i ciclisti -, stesso gusto per il mistero grottesco e il noire che trapela da una atmosfera rurale come quella del paesino di Ischiano Scalo.
Così, nonostante i pregiudizi che, lo confesso, mi hanno bloccata nelle prime cinquanta pagine, Ammaniti è riuscito a restare coerente alle attese: tanta trama, tanta suspense, tanta curiosità, data anche da questo flashback che sembra interminabile. Tutto per un finale che, al di là delle aspettative, lascia a bocca aperta.