M. Viterbo
Dagli ultimi re borbonici alla caduta del fascismo,memorie,fatti,testimonianze,
Schena Editore, pp. 318, 35€
Capita a tutti,ogni tanto, di sedersi attorno al focolare ad ascoltare le vecchie storie del nonno che iniziano quasi sempre con un augusto “Ai miei tempi…” e che si ripetono spesso alla stessa maniera, con le stesse parole impresse a fuoco nella mente dell’anziano. Con lo stesso spirito si snoda il libro pubblicato postumo di Michele Viterbo, “Dagli ultimi re borbonici alla caduta del fascismo”, dato alle stampe dai figli ed in particolare dalla compianta Silvia Viterbo De Jaco.
Il titolo in realtà non rende completamente giustizia al testo e ai temi trattati che sono circoscritti alla sola città di Castellana Grotte, paese natio dell’autore, interpretabile come una paradigmatica chiave di lettura della situazione del Meridione “dagli ultimi re borbonici alla caduta del fascismo”.
Dopo un doppio preambolo a cura del presidente della società finanziatrice (Cassa Rurale ed Artigiana di Castellana Grotte - Credito Cooperativo, ndr) e della famiglia dell’autore che sottolinea il grande lavoro di rilettura e di riassemblaggio delle bozze manoscritte di Michele Viterbo, gli occhi del lettore si perdono in una Castellana d’altri tempi tra i “piccoli fusi gonfi di lana bianca” e “pentole e tegami di lucido rame”. E’ la città ai tempi dell’infanzia dell’autore, quando per le strade “taluni contadini, i facchini, i chiazzieri portavano ancora i cerchietti d’oro alle orecchie e il turbante rosso in capo”. Un inizio pittoresco per un discorso, quello degli avvenimenti precedenti la nascita dell’autore (tema della prima parte del volume), che si snoda efficacemente dalle antiche dicerie e leggende popolari fino ai tumulti del 1903 passando per gli argomenti più disparati come i patrioti castellanesi, l’emigrazione e le feste religiose.
La seconda parte del volume invece tratta gli eventi direttamente vissuti dall’autore, ed è qui che il senile cicaleccio della lingua sulle gengive, tipico dei racconti popolari, si estingue in una narrazione più ampia e scorrevole quasi come un’iniezione di vita. L’autore sceglie per iniziare questa seconda trance, di rendere omaggio alla figura del padre, prematuramente morto quando Michele aveva poco più di 16 anni. Continuando la lettura si scopriranno argomenti di vario interesse tra cui in particolare i tumulti del 1907, Castellana nel periodo della prima guerra mondiale, il talento del pittore Francesco Dell’Erba, il fascismo a Castellana, le case popolari e le grotte. Qui si spezza il filo narrativo del volume e prendono corpo i pensieri e le considerazioni dell’autore ben riassunte dal manoscritto di una lettera del 1946, scritta al fratello in occasione del referendum istituzionale di quell’anno e riportata dai curatori dell’edizione.
Chiudendo questo libro il lettore interessato e magari un po’ campanilista proverà una certa malinconia e lo vorrà riaprire per riscoprire il piacere di un libro da sfogliare, privo del triste e piatto contrasto tra le nere parole e il bianco delle pagine, ma con i colori sbiaditi e ingialliti delle numerosissime illustrazioni che corredano utilmente il testo. E si può essere ben certi, meravigliandosi come bambini dell’iniziale fluida commistione linguistica tra italiano e vernacolo e della ricchezza dei contenuti che nonostante la pubblicazione sia stata postuma non può che rispecchiare totalmente il pensiero dell’autore, offrendo al pubblico di appassionati lettori del “tempus actum” un’opera di inestimabile valore.