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Per non chiudere gli occhi davanti all'etica

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“La sonata a Kreutzer”
di Lev Nicolaevic Tolstoj
traduzione di G. Donnini
Santarcangelo di Romagna, Rusconi Libri, 2005


La storia di un adulterio ha sempre suscitato curiosità nel lettore; se è un russo, e per giunta Tolstoj, a cimentarsi, allora siamo certi che lo scrittore ci farà vibrare della stessa gelosia del marito tradito, e ci trasporterà senza requie tra gli inquietanti pensieri di vendetta. Già nelle prime pagine s’incontra il protagonista, Pozdnysev, che durante un lungo viaggio in treno inizia a raccontare la sua empia storia. Senza veli e senza falsi moralismi, Pozdnysev smonta i luoghi comuni della società tardo ottocentesca (il libro viene pubblicato per la prima volta nel 1891 e l’azione è pressoché contemporanea), impegnandosi a evidenziare le ipocrisie dei benpensanti. Ad esempio, perché l’uomo è giustificato, se cerca piacere fuori dal matrimonio? Perché la donna viene cresciuta con lo scopo di accontentare le voglie del marito? Coinvolto dalla routine, il protagonista s’è posto questi interrogativi troppo tardi, cioè dopo aver accoltellato per gelosia la moglie che s’intratteneva con un violinista.

La narrazione, sempre impeccabile, viene talvolta a rasentare il crinale saggistico, specie nella prima parte, offrendo l’occasione a Tolstoj- Pozdnysev di riflettere su cosa sia il piacere, cosa la gelosia, cosa sia il rapporto di coppia e il matrimonio, premurandosi di svellere false convinzioni.

Non so se qualcuno abbia avuto la stessa sensazione prima di me, ma devo proprio ammetterlo: quest’opera m’è sembrata precorrere parecchio i tempi nella sua riflessione sulla difesa della donna e la bestialità mascherata di determinati uomini. Con grande autocritica, Tolstoj, come precisa nell’interessante postfazione, si preoccupa dell’eticità quasi perduta della società a lui contemporanea, e spera con questo libro non tanto di educare, ma di aprire una questione degna di discussione. Forse è questo che rende l’opera tanto attuale, consigliabile a tutti coloro che si credono cinici.


Anathea