Le parole di Giuseppe Columbo
“Quello che le foglie non dicono”
di Giuseppe Columbo
Cagliari, La Riflessione, 2007
pp. 107
La raccolta poetica di Giuseppe Columbo ospita composizioni che sfiorano i più alti e tradizionali temi della lirica di ogni tempo e di ogni dove. Innanzitutto, l’amore, per lo più contrastato, accostabile alla categoria del “sublime”, in quanto la sua bellezza spesso sembra persino impaurire l’io-lirico. Questa donna, le cui caratteristiche oggettive sono quasi sempre annegate dal sentimento del poeta, manifesta uno spirito forte e libero, talvolta rientra nel topos più tradizionale dell’ineffabile. Qualche volta, il giovane autore si spinge a versi spruzzati d’erotismo, pur mantenendo una sostanziale morigeratezza.
Oltre all’amore e a questo intrecciato, troviamo un altro tema, ovvero l’indagine interiore, gestita con lo scandaglio di parole semplici e quotidiane, accostate in brevi associazioni di versi, quasi aforistici. Se forte è il desiderio di lasciarsi andare alla dolcezza dell’amore (“Quel lento perdersi,/ infinito piacere…” da Ore), talvolta questo viene incupito da un senso di angoscia e di ansia che creano un’atmosfera più cupa. Si pensi, ad esempio, all’ultima lirica della raccolta, intitolata Passi nel ricordo: “Tintinnare nei passi,/camminati tra echi,/ di loro stati,/ a fugar un passato/ ormai calpestato.”. O ancora, un appello stesso alla propria ansia, come leggiamo qui: “Ansia chetati! // Riposati nella tomba/ della pace nuova”.
Tuttavia, il poeta non s’abbandona allo scoramento più completo, ma la speranza sembra destarsi al minimo spiraglio d’amore: “Sorrisi pieni/ regalan Paradiso terreno/ ad un cuore sconvolto”, in cui non è difficile comprendere come sia proprio l’apparizione della donna felice a regalare una pausa all’angoscia e un aprirsi del sentimento.
Molte sono le citazioni letterarie interne ai testi, talvolta addirittura ci sono riprese di arcaismi che riportano a liriche ben anteriori al Novecento. Al contrario, appare molto moderno il gusto per la sintassi rotta, per il versicolo e lo spazio bianco. Tra i tratti distintivi, troviamo poi un uso del tutto personale dei puntini di sospensione, spesso per indicare una reticenza o un’allusione a qualcosa di ineffabile, da capire “tra le righe”… Un uso un po’ insistito, a volte inutile, a volte artificioso, ma bisogna pensare che questi sono i primi tentativi poetici di un autore molto giovane che ha una sensibilità molto spiccata, da imparare a valorizzare con le parole più preziose.
Anathea