Il caso Saint-Fiacre


"Il caso Saint-Fiacre"
di Georges Simenon
(Milano, Adelphi, 148 pgg.)

Al dipartimento di polizia di Parigi arriva una lettera. Il commissario Maigret la legge. “Il foglio era a quadretti, la scrittura diligente. –Vi informo che nella chiesa di saint-Fiacre, durante la prima messa del giorno dei Morti, sarà commesso un delitto-“. Saint-Fiacre, il piccolo borgo disperso nella campagna francese, era il paese natale di Maigret, “suo padre, per trent’ anni, era stato l’ intendente del castello”. Il commissario decide subito di occuparsi personalmente del caso, non esita a lasciare Parigi, e giunge in quella chiesa semivuota, all’ alba di un grigio e ventoso giorno d’ inverno, attende che succeda qualcosa, che l’ enigmatica profezia del foglietto di carta si avveri e il lento dialogo per salmi e cantilene tra il parroco e i fedeli, e perfino il denso fluire dell’ incenso e il suo sentore greve nell’ aria, lascino il posto allo stupore, all’ evento inaspettato e sconvolgente, al delitto. Ma cosa succeda in quel luogo, e se per davvero succeda qualcosa, o se ciò che ha tutta l’ apparenza di un mistero si riveli solo una burla, lo lascio scoprire ai lettori, poichè raccontare la trama di un giallo è come una mossa sgarbata, è come commettere un delitto. “L’ affaire Saint-Fiacre”, come ogni giallo ben congeniato, dissemina centellinando gli indizi, sino alla conclusione finale, apocalittica e liberatoria, che condivide molto dei finali corali di Agatha Christie. I personaggi, sono pavidi, sbruffoni, hanno ognuno un aspetto maligno, un desiderio nascosto, una colpa taciuta e inconfessabile, ognuno un buon motivo per uccidere. A differenza di altri romanzi di Simenon, in questo racconto Maigret appare quasi spettatore, passivo, e la risoluzione del giallo spetterà ad uno tra i personaggi. La passività del commissario è certamente una manifestazione di uno degli argomenti centrali del libro: il tema del ricordo violato. Maigret è spettatore perché la sua infanzia gli torna alla mente, gli anni felici passati al castello, il senso di sacro che i bambini attribuiscono a condizioni che poi, in età adulta, riterranno quotidiane, se non banali, il rispetto per la contessa, elegante ed altera nel suo ricordo, la soggezione nei confronti dell’ immensa biblioteca del conte, dei quadri scuri, delle stanze lunghe e dei corridoi del castello, del conte stesso. Ma il ritorno alle radici consegna a Maigret un paese completamente mutato. L’ economia del castello versa in condizioni ormai disastrose, le stanze vuote dei mobili antichi e dei cimeli preziosi, il giovane conte, incapace di darsi un lavoro ed un senso alla propria vita, spende in viaggi, macchine sportive,lussi inadeguati, amanti sanguisughe, aiutato in questo nobile tentativo di dilapidare completamente il patrimonio della casata, dalla madre, l’ anziana contessa, un tempo altera nel portamento e rispettata, ora chiacchierata, incapace di non cedere alle lusinghe di giovani e furbi segretari, e alle loro spericolate imprese finanziare, forse in cerca solamente di tenerezza e conforto, non certo di un piacere inadeguato alla sua declinante età. La realtà, così ottusa, così povera, non concede a Maigret di mantenere intatto, idealizzato, il ricordo, ma ne viola ogni contenuto, strappa ad esso ogni aura di sacro e in ogni suo aspetto lo rivela banale, insensato. Per questo Maigret, frastornato, e stupido, alle prese con lo sconvolgimento della sua infanzia, non può che essere spettatore e cedere l’ onere dell’ investigazione ad un altro tra i personaggi. Popolano il racconto una serie di figure (e di figuri) ben delineate e riconoscibili: il prete del villaggio, pavido ed impaurito, il nuovo intendente del castello, brusco nei modi e taciturno, la vecchia conoscente di Maigret, la signora Tatin, ora gestrice di un ristorante, timida, più che per carattere, per anemia di provincialismo, e bigotta, il figlio dell’ intendente, dignitoso, sobrio, scaltro, asciutto, e pronto ad ogni impegno ed evenienza, come solo i figli dei poveri che vogliano riscattare la condizione possono essere, il piccolo chierichetto della chiesa, scaltro, incantato dai messali d’ oro della chiesa, in cui Maigret si riconosce bambino. Nessun personaggio è effettivamente maligno, ma tutti sono così banali, incapaci di dare un senso alla propria vita. Ma alla fine per uno di essi ci sarà una possibilità di redenzione, uno mutamento di coscienza dopo aver toccato il baratro, una possibilità di confronto in sincerità, senza esclusioni, con la propria vita. Per questo personaggio il racconto sarà stato allora un romanzo di formazione. Per tutti gli altri, per noi lettori, “L’ affaire Saint-Fiacre” è la storia di un delitto, una storia fascinosa e scura, nella livida atmosfera di un giorno ventoso d’ inverno, in un paesino banale, che nessuno conosce, sperduto nella campagna francese. Uno dei più bei libri di Simenon. Imperdibile.