Messia e anticristo: il "Federico II" di Kantorowicz

Monumentale opera storiografica pubblicata nel 1927, “Federico II imperatore” (Kaiser Friedrich der Zweite) è ancor oggi una lettura fondamentale per chi voglia conoscere al meglio l’ultimo imperatore della casata sveva degli Staufen.La biografia scritta da Ernst K. Kantorowicz (1895-1963), storico tedesco di origini ebraiche, è indubbiamente la più completa tra le 2000 biografie di Federico II (un numero impressionante!) scritte dalla sua morte ad oggi. Possiede un ricchissimo corredo bibliografico, e una particolarità rispetto a molte opere della storiografia novecentesca: le testimonianze storiche del tempo, siano esse lettere private e pubbliche, cronache cittadine o costituzioni imperiali, hanno eguale dignità.

Dignità che rimane inalterata anche se è chiara la falsità o la parzialità degli autori, perché proprio le falsità, le favole, le menzogne e le maldicenze aiutano a ricostruire quel mondo di cui Federico II fu la grande meraviglia (stupor mundi).

A ben vedere, si tratta di maldicenze che non si sono ancora sopite. Basta guardare nella pagina di Wikiquote dedicata al nostro imperatore (esattamente qui) per trovare la seguente frase, attribuitagli in ambiente papale per giustificare la sua scomunica:

“Il mondo è vittima di tre malfattori: Mosé, Cristo e Maometto.”

Molto probabilmente, Federico non pronunciò mai questa frase.


Il mondo di Federico, quel Medio Evo multiforme e magmatico che – alla luce di un più obbiettivo approccio storico – non è più definibile “l’oscura età della barbarie”, è indispensabile per capire Federico stesso.

Federico non sarebbe mai esistito senza il suo universo, senza una cristianità in attesa di un nuovo messia e contemporaneamente terrorizzata dalla sempre più vicina venuta dell’anticristo.

Messia e anticristo, al contempo: “Persino la dicitura solenne: Dominus mundi, ora sempre più usata, era a doppio senso, perché con ‘signore del mondo’ s’intendeva anche Satana.” E ancora: “Spirito libero, rilasciava editti contro gli eretici; amico dei saraceni, prendeva la croce contro di loro; nemico delle borghesie cittadine, le attirava alla sua corte (…); voleva essere il messia, ed era pronto ad essere, al tempo stesso, flagello di Dio e maglio del mondo.”

Una persona, quella dell’imperatore, che scissa tra antinomie irrisolvibili e non sempre coerenti – ma cosa nel mondo è coerente? – si erge a ultimo, vero dominatore del mondo, Dominus mundi. Un vero titano, che si scontra via via con i suoi nemici per eccellenza, i pontefici (ognuno dei quali è delineato da Kantorowicz nella propria inconfondibile personalità e concezione del potere).

Alcune note necessarie: il testo, che di per sé ha un gran valore, va inserito nel quadro storico della Germania degli anni Venti, sconfitta nella I Guerra Mondiale e umiliata dal successivo trattato di Versailles (1919). Kantorowicz, nel suo lavoro di storico, intende chiaramente proporre attraverso grandi personaggi (Enrico VI, Innocenzo III, Federico II) dei modelli ideali ma, soprattutto, d’azione per riedificare la sua Germania; in questo proposito di collocano i frequenti paragoni di Federico con altri Grandi: Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone Bonaparte, Friedrich Nietzsche (“il primo tedesco che (...) raccolse questo grido terribile, e gli rispose”). Una posizione intellettuale che non ha mancato di attirare aspre critiche (David Abulafia) ma che ha contribuito, di certo, a creare una delle più grandi opere di storiografia del XX secolo.