La bestia a due schiene
di Emily Maguire,
Rizzoli, 2006
pp. 334
Sarah Clark, quattordici anni di Sidney, è una studentessa modello che si è sempre sentita diversa dai suoi coetanei. Tutto ebbe inizio quando, per il suo dodicesimo compleanno, le venne regalata una copia dell’Otello e finì quando il suo insegnante di letteratura inglese non le spiegò il vero significato dell’espressione “la bestia a due schiene”.
Nel frattempo aveva letto tutte le tragedie di Shakespeare e i sonetti, e poi Marlowe, Dante, Donne, Pope e Marvell.
“Infilava le antologie di poesie sotto il letto e di notte si immergeva nella lettura di Emma alla luce di una torcia elettrica, esattamente come i ragazzi della sua età erano soliti fare con Playboy”.
Non si sa quale sia il fattore principale che faccia innamorare di lei il suo professore.
L’intelligenza? L’ingenuità? La freschezza dei suoi anni e il fatto che, tra i due, ci siano più di quattro lustri di differenza?
Fatto sta che un giorno, dopo le lezioni, Sarah si ritrovò avvinghiata a un uomo affascinante e sposato che, in bilico su un banco di scuola, continuava a ripeterle quanto lei fosse intelligente e consapevole della grandiosità dei suoi anni. Da quel giorno, Sarah Clark cessava di esistere ogni giorno per circa due ore, incontrando di nascosto il suo professore in mensa, negli spogliatoi o nel sedile posteriore della sua macchina.
Quando poi il professor Carr, così si faceva chiamare da Sarah anche durante l’amplesso, dovette trasferirsi in un’altra città con la sua famiglia, fu come per la ragazza se il mondo le fosse appena crollato sulla testa soffocandola.
“La bestia a due schiene”, il titolo del romanzo, proviene da Shakespeare. Quando due persone erano coinvolte completamente nell’atto amoroso, smettevano di essere individui separati e diventavano un’unica creatura. L’amplesso dava vita a un organismo più grande della somma delle sue parti, una bestia a due schiene ma con una sola anima. “Sarah si rese conto come non si trattasse di una metafora: se qualcuno fosse capitato per caso in uno dei loro luoghi segreti dalle tre alle cinque di ogni pomeriggio, non avrebbe potuto identificare una ragazza e il suo insegnante che mettevano in atto il loro amore impossibile e illegale. Avrebbe semplicemente visto un mostro a due teste che si dimenava e urlava, una creatura inconsapevole del mondo che la circondava, autosufficiente, senza nessun altro desiderio se non quello di escludere il resto per rinchiudersi ancora di più in se stessa”.
Ed è proprio questo che Sarah cerca negli otto lunghi anni a venire dopo la partenza del professor Carr. E lo ricerca negli uomini più abietti, incontrati nei locali dei più bassi sobborghi di Sidney o abbordati al bordo della strada. Una ricerca inutile della sua bestia a due schiene che, invece di permetterle di dimenticare, non fa che ricordarle a ogni amplesso che solo una persona era in grado di dar vita a quella creatura così meravigliosa. “Non riusciva a trovare conforto o sicurezza in niente. Ogni spazio era diventato immenso perché lei aveva smesso di riempirlo”.
E per quanto il professor Carr si riveli, andando avanti con il romanzo, come una persona violenta e di mente fragile e precaria, Sarah non esita un solo istante a saltargli con le braccia al collo quando lo rivede, dopo tanto tempo, invecchiato e finalmente senza fede al dito. “Sarah conosceva quella voce. Sentiva la sua eco rimbombare in testa da otto lunghi anni. La conosceva perché era la fottuta colonna sonora della sua vita”.
Daniel Carr era l’altra metà della bestia a due schiene che le ruggiva dentro da troppo, troppo tempo.
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