Inès del alma mìa
di Isabel Allende
Milano, Feltrinelli, 2006
Le “Cronache del regno del Cile”, lo “Studio sulla conquista dell’America”, “Conquistatori spagnoli del secolo XVI”, “Gli araucani”, “Mapuche, gente della terra”, “Pedro de Valdivia, capitano conquistato” sono solo alcune del carico di opere utilizzate da Isabel Allende come fonti bibliografiche per la storia della sua eroina: Inès Suarez. Questa figura, avvolta nella patina dorata della legenda, fu, nella realtà storica, una sarta spagnola, abile cuoca di “empanadas” ed “infermiera” che, partecipando alla conquista del Cile nel 1537, fondò, assieme a pochi altri soldati al servizio di Carlo V, la città di Santiago.
In questo diario, scritto in prima persona dall’anziana Inès sotto forma di confidenza alla figlia adottiva, Isabel, (l’omonimia della ragazza con la scrittrice del libro crea l’effetto di una confessione diretta dal personaggio all’autore legando con un filo sottile due donne al di là dei secoli), la verità storica è inscindibile dal mito ed intervallata dalle strofe del poeta Alonso de Ercilla, il quale esalta le conquiste castigliane a discapito delle popolazioni autoctone, e dalle illustrazioni tratte dal poema epico “La Araucana”.
Ad occupare una parte consistente dei capitoli più cruenti sono le descrizioni di tattica militare e balistica e le riflessioni sul confronto impari tra l’esercito munito di cavalli, spade, archibugi, cannoni di una delle più ricche tra le monarchie europee del 1500 e le schiere ben disciplinate, numerose come sciami di insetti, di aborigeni preparati alla morte ma non alle malattie diffuse dall’arrivo dei conquistatori, all’infingardaggine di chi infrange il codice di guerra venendo meno alla parola data, alla viltà delle incursioni nei villaggi al fine di violentare le donne e schiavizzare i bambini costringendoli al lavoro estenuante nelle miniere d’argento. A scrivere la cronaca delle violenze inutili che impregnano la terra del sangue di entrambe le parti è proprio Inès che, pur tentando di apprendere la lingua mapudungu sa che intendersi con i mapuche “è una fantasia, non ci intenderemo mai, sono troppi i rancori accumulati”.
L’immagine di Inès è quella dell’ amante passionale, della semplice e pratica donna del popolo ritenuta astuta manovratrice politica da chi la vede assurgere alla carica di “gobernadora” a fianco del conquistador Pedro de Valdivia. E per il popolo mapuche, che nulla sa della sua complicità con una principessa inca o della sua disponibilità ad accogliere in casa propria il futuro nemico Lautaro, è una crudele cacciatrice di teste, una “bruja”, (“strega”), spietata e disumana. Per il clero degli anni dell’Inquisizione è motivo di scandalo; per i soldati ed i poveri chi cura le loro ferite e provvede che le scorte di cibo siano sufficienti alla sopravvivenza anche durante la carestia degli “anni tragici” (1543- 1549). E per Valdivia? Inès, come già altre eroine dei romanzi dell’ Allende, sembra disincarnarsi nella relazione col guerriero spagnolo per diventare la proiezione del suo spirito: “la sua stella si è levata quando mi ha conosciuto ed ha cominciato a declinare quando si è separato da me” ripete Inès non credendo alle parole della sua confidente, Cecilia. E alla morte di Pedro, lontano da Santiago, anche Inès, come per empatia, è indebolita dalla malattia… e nel delirio della febbre ode distintamente il grido di Pedro de Valdivia nel suo ultimo congedo: “Adiòs Inès del alma mìa…”.
Esposto Ultimo Eva Maria
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