Il Salotto: intervista a Susanna Trossero


Ciao Susanna, innanzitutto grazie per aver accettato la proposta di raccontarci un po’ di te. E inizierei proprio lasciandoti un po’ di spazio per qualche notizia biografica: sentiti libera di dire ciò che preferisci.
Ciao a tutti, sono Susanna, scrivo da sempre e da sempre amo leggere; pensate che già dagli anni delle scuole elementari mi dilettavo a scrivere storie per gli altri bambini; i temi erano allora sempre gli stessi: orchi, fate, castelli stregati, tutti argomenti cari ai bambini ma la differenza stava nel fatto che io li raccontavo piuttosto che farmeli raccontare. Poi ho cominciato ad osservare le persone e ad immaginare le loro storie, e i temi sono cambiati, o meglio, si sono alternati in qualche modo. Non ho mai smesso di scrivere ma – crescendo - per molti anni ho continuato a farlo solo per un mio piacere personale, per seguire un istinto che mi portava a riempire le pagine bianche quasi come se non si trattasse di una creazione deliberata, evitando però la condivisione con altri a causa di una sorta di pudore che mi impediva di far leggere quelle che definivo le mie cose, pudore che ho scoperto essere più frequente di quanto supponessi. Mi pareva di denudarmi, di trasformare un mio momento privato in qualcosa di pubblico; in realtà ho scoperto nel tempo che scrivere è anche donarsi, e sono stata fortunata perché - nel momento in cui ho cominciato a mettermi in gioco - ho ottenuto buoni riconoscimenti e un’ottima accoglienza nel mondo dei libri.

Abbiamo recentemente letto il tuo Nella tana dell’orco: quanto hanno inciso le leggende su questo tuo scritto?
Parecchio, almeno per quanto riguarda il racconto che apre la raccolta e che le dà il titolo. Sono sempre stata affascinata da miti e leggende della mia terra, la Sardegna; dopotutto i nostri nuraghi sono uno dei più grandi misteri legati all’archeologia. Pensate che esiste una teoria ritrovata in diversi trattati, che sostiene fossero opera della civiltà di Atlantide! Se poi considerate che esiste un’ipotesi tutta italiana che dice che Atlantide sarebbe proprio la Sardegna! Si parla di teorie, di ipotesi, ci tengo a precisarlo, ma sono molto più intriganti e stimolanti delle risposte che ci hanno dato a scuola, o che troviamo su testi “seri”. Dunque, nel mio racconto, ho volutamente lasciato spazio - usando uno stile spesso surreale - al mistero, magari alimentando le leggende, modificandole a mio piacimento, giocando con la fantasia. Devo dire che è stato divertente.


Hai avuto qualche modello, per quanto riguarda i racconti più d’impatto, come “Gli scarafaggi”?
Si attinge sempre da qualcosa o da qualcuno, anche involontariamente. Io ho sempre amato Stephen King, Edgar Allan Poe, ho apprezzato i primi film di Dario Argento, ho tutta la collezione dei fumetti di Dylan Dog. Capita che una frase, un’atmosfera, un particolare, mi si incollino addosso per un po’ e mi stimolino influenzando la mia scrittura. Ma è un discorso che abbraccia anche altri generi perché sono una che spazia, in quanto ad ambientazioni o argomenti trattati. Ho bisogno di cambiamenti radicali nei temi che affronto, di non avere limiti di nessun genere; lo trovo più stimolante, più… corroborante.


Dai tuoi racconti emerge spesso, come abbiamo visto, il rapporto tra l’uomo e la natura: cosa ne pensi? Credi nella possibilità di rientrare in equilibrio con la natura, messa in secondo piano in questi ultimi decenni?
Ahimè no, non ci credo. E lo dico con la mia parte razionale, non con quella del “cantastorie”. Purtroppo l’uomo è stupido, tende all’autodistruzione senza neppure avvedersene. La natura in fondo siamo noi, ma ci siamo creati un modo di vivere che non ci tutela e credo sia impossibile oramai tornare indietro. Abbiamo fatto scempio di beni preziosi ed è come se la natura – dopo vari moniti – si sia seduta a guardare ironizzando sulla nostra ignoranza e ingenuità. È scomodo fare passi indietro, abbiamo raggiunto il punto di non ritorno e diventa più semplice andare avanti, nonostante tutto. Ecco perché, nei miei racconti (in particolar modo nel “Il Dio degli alberi”), ho immaginato una natura che da spettatrice e vittima diviene carnefice. Temo sia la sua unica possibilità di salvarsi…


Sul retrocopertina si legge che hai partecipato e vinto concorsi di poesia e di narrativa. In quale delle due dimensioni ti rispecchi di più? E perché?
Questa domanda mi è stata fatta di recente in un’altra intervista e mi ha fatto riflettere. Io ho pubblicato molte mie poesie negli anni e mi sono resa conto che - nel momento in cui arrivavo alla pubblicazione - vivevo la cosa con un certo disagio. La poesia è un fatto intimo, personale, e se scaturisce da momenti significativi della tua vita è un po’ come esporre l’anima. Dunque la leggo, la cerco, la amo, ma non riesco più tanto facilmente ad espormi con dei versi. Li tengo nei miei cassetti, in quei deliziosi quadernini piccoli piccoli che riapri quando hai voglia di guardarti dentro, o di ricordare, quando ti fai domande o cerchi risposte. La poesia è un attimo, una sensazione, è con la prosa che passo più tempo, sia come autrice che come lettrice.


Proprio tra poche settimane (e questa è una bella anticipazione!) ci dedicheremo a una nuova rubrica di poesia. Vogliamo chiedere anche la tua impressione: cos’è la poesia oggi? La consideri ancora spendibile o è per lo più momento privato?
Credo di avere, almeno in parte, appena risposto. Ma devo aggiungere che sono felice che non tutti coloro che scrivono poesie abbiano questa sorta di pudore, perché leggerne può aiutarci a dar voce a cose che anche noi proviamo, e che magari avremmo voluto saper dire. Accade così da sempre, ci si riconosce nelle parole di qualcun altro: chi non ha copiato versi sull’agenda facendoli suoi? Sono felice della vostra iniziativa, perché se è vero che le raccolte di poesie risultano quasi invendibili è anche vero – benchè sia un controsenso – che sono in tanti a leggerne o a scriverne.


Sappiamo che un tuo nuovo libro è in uscita (n.d.r. e presto lo recensiremo!): ce ne vuoi parlare?
È stato pubblicato di recente dalla Graphe.it Edizioni di Perugia, e si intitola “Lame & Affini”. Come ho detto, mi piace girovagare, andare laddove mi porta la fantasia, amo spaziare, affrontare vari argomenti, e questo è un libro che racconta di passioni, di sentimenti tutt’altro che surreali, di trasgressioni terrene, di scelte controproducenti; un’antologia di racconti dunque totalmente differente dalla raccolta precedente, che scava nella parte “scomoda” dell’uomo, quella vulnerabile e giudicata amorale, spesso condannata dai più ma che è insita nell’animo umano. Rinnegata, certo, ma potente, a volte predominante, che ci conduce verso strade dissestate lusingando la nostra vanità. In queste pagine si può trovare sia una cruda assenza di sentimenti che l’esaltazione dell’Amore eterno. Insomma, ce n’è per tutti.


Dunque, argomenti molto diversi da quelli che abbiamo letto Nella tana dell’orco: sono aspetti che si conciliano nella tua personalità di scrittrice, o possiamo considerare un’evoluzione del tuo pensiero e del tuo stile?
Credo si tratti più della mia personalità di scrittrice. La scrittura, per me, è la vera libertà. Attraverso la penna io posso essere chiunque, come spesso dico, posso andare ovunque, posso vivere le più disparate situazioni. Niente è impossibile, non ci sono regole, freni, dunque è come volare senza alcuna meta con il solo scopo di liberare la fantasia. A volte chi viene a trovarmi si stupisce dei paradossi della mia libreria, perché accanto a poesie di Montale, Prevert, del meraviglioso Quintana o altri, puoi trovare le biografie di serial killer; accanto alle introspezioni di Moravia, alla toccante Emily Dickinson o ai libri di fiabe dei Grimm, puoi trovare degli horror o dei romanzi ricchi di passione come “Le relazioni pericolose” di Laclos o “Follia” di Mc Grath. Leggo e scrivo allo stesso modo. Senza un filo logico, un genere, ma seguendo un istinto, un desiderio, un’idea.


Per ringraziarti della cortesia, ti lascio lo spazio per dirci qualcosa a tua scelta.

Voglio ringraziare tutti coloro che mi stanno leggendo e apprezzando, perché il libro cessa di essere di chi l’ha scritto nel momento in cui è tra le mani di chi lo sta leggendo. Dunque ogni singolo apprezzamento è per me degno di nota e non farà mai parte di un insieme, bensì parte integrante e fondamentale di ciò che i miei lettori mi stanno dando: la voglia di continuare, lo stimolo di fare sempre meglio. Richard Bach ha detto: "Uno scrittore professionista è un dilettante che non ha mollato".

Grazie e alla prossima con Lame e affini!
Gloria M. Ghioni