Le libere donne di M. Tobino
“Le libere donne di Magliano”
di Mario Tobino
Milano, Oscar Mondadori, 1990
€ 8.40
pp. 132
Lascio che siano le parole di Tobino ad aprire la nostra chiacchierata: «Oggi è arrivata, proveniente da Firenze, una malata, una matta, giovane, fresca, alta, con lo stampo della salute fisica. Quando sono entrato nel reparto era seduta a letto e mangiava con golosità. Aveva la camicia aperta sì che si vedeva comodamente un seno. Non aveva alcun pudore, neppure la finzione del pudore. È affetta da schizofrenia, quella malattia mentale che scompone la persona umana rendendola senza senso e senza scopo» (p.9). Questo, l’incipit; emerge subito il taglio diaristico, con cui il medico, in prima persona, descrive la sua nuova paziente: prima una descrizione fisica, poi la diagnosi, spiegata con grande semplicità. Non è così facilmente delimitabile la struttura che è, anzi, decisamente personale: ad esempio, il taglio diaristico viene interrotto qua e là da appelli al lettore (che infrangono quindi l’autoreferenzialità del diario); o ancora la combinazione di episodi narrativi prevede la ripresa, qua e là, di personaggi o anche semplici comparse; i frammenti, oltre che d’argomento, sono anche di lunghezza diversissima (dalle poche righe dedicate alle descrizioni paesaggistiche o alle emozioni, fino a intere pagine). Soprattutto, benché alla fine dell’opera Tobino specifichi che i fatti narrati non sono riconducibili a reali pazienti, sappiamo dai documenti donati all’archivio (si tratta di cartelle cliniche e diari conservati dalla Fondazione M. Tobino a Maggiano, presso Lucca) che molto spesso il lavoro di psichiatra ha contribuito alla stesura di quest’opera. Infatti, uscita nel 1953, possiamo considerarla il risultato di brani stesi in anni differenti, frammenti estrapolati e rielaborati a partire dal nucleo duro dei diari, che Tobino ha tenuto giornalmente. È poi quasi impossibile evitare di cadere nell’interpretazione autobiografica dei pezzi, quando si legge che il manicomio si trova a Magliano, nome lievemente modificato della reale Maggiano, in provincia di Lucca, dove Tobino ha esercitato per decenni la sua professione.
Dunque, un’opera di tema manicomiale, così difficile da trattare senza scadere nel tecnicismo, nel patetico, o nel cinismo. Al contrario, Tobino non ha mai della malattia mentale una concezione positivistica, ma a volte diventa addirittura sacrale: molto spesso, le donne in preda ai deliri diventano addirittura statue ieratiche, dee classiche, trasfigurate. In un caso connota la donna come “bestia e dea”, sintagma che si può ben estendere a molti altri frammenti. Non mancano descrizioni e particolari carichi di un erotismo quasi mitico, proprio di una naturalità sprigionata, liberata dal pudore della morale comune. Quasi con contemplazione – ma sempre senza morbosità – Tobino coglie vicende umane e disumane con pari interesse e tatto.
Quel che sconvolge il lettore, oltre le vicende di per sé forti, è la capacità di Tobino di penetrare una realtà così difficile con una penna essenziale, che oscilla continuamente tra la secchezza da prosa latina (si vedano i tanti ablativi assoluti, la lapidarietà tacitiana, l’accusativo alla greca,…) e il moderno (distonie sintattiche, paragoni retti da amore per la concretezza,…). La sensibilità estrema è sempre permeata di sincerità: è proprio del grande scrittore trasformare in verosimili situazioni lontane dalla nostra quotidianità. E Tobino, rivalutato dalla critica in anni recenti, è scrittore da apprezzare, perfetto anche se letto a stralci, perché è proprio la sua opera a parlare per strappi narrativi cosparsi di vocazione lirica.
GMG