Poeti in ascolto - I -
Incontri di poesia all'Imbarcadero pavese
di Alfonso Maria Petrosino
Ieri l’Imbarcadero di Pavia ha ospitato la seconda delle quattro letture di poesia (il cui slogan è “tutto scorre” perché Eraclito docet ed il Ticino dimostra), previste ogni mercoledì fino alla fine di giugno.
Lettura, questa, triplice: dietro al microfono si sono avvicendati tre poeti: Marco Bin, Silvia Cambiè e Roberto Batisti.
ROBERTO BATISTI, bolognese, scrive poesie allucinate. Io non so esattamente cosa significhi “allucinato”, ma se vuol dire che delle luci che arrivano da non si capisce bene quale fonte illuminano le cose e le persone e fanno vedere cose e persone che non ci sono realmente o che realmente non sono così, ma che lo sono anche, ad un altro livello, in un altro modo, se non nel mondo, nella mente; se indica qualcosa che nel complesso appaia strano e stravagante e straordinario, be’ sì, allora Roberto Batisti scrive poesie allucinate. Ed al di là delle visioni, siano apparizioni storiche o paesaggi extraterrestri o ultraterreni, io gli invidio innanzitutto il vocabolario, anzi i vocabolari. Io me lo immagino a casa sua, a Bologna, con scaffali pieni solo di glossari, lessicografi, raccolte di gerghi desueti.
gengive di scimmia, paonazze,
e barlumi di storia
brillano come tozze candele votive
in fondo agli occhi dell'orangutan
il cucchiaio che soppesa la minestra
non esclude di avere a che fare
col venerabile brodo primordiale
sopra i tetti, in attesa
dell'invenzione dei pipistrelli,
incrociano rauchi pterodattili
sfracellandosi fra pale di elicotteri
NEI TUOI OCCHI
c’è il Sacro Romano Impero
e i fiori delle Svalbard
i polsi accesi di rosa
dei pianisti in alberghi tropicali
la pioggia agli scali ferroviari
e l’oscillare delle lampade
nella notte di Betlemme
ci sono nei tuoi occhi gli infiniti
annientarsi di regni catafratti
nelle sabbie e nelle isoipse nere
le mandorle e lo zenzero di Malta
e suicidi per amor folle a Rostov
– cartoline appoggiate sulle stufe –
le piume e il lampo dolce del salnitro
ho amato così tanto che il mio sangue
lava le strade, ignare le corporazioni
degli operatori ecologici
e a saperlo sono i frutti che gelano
sotto le pergole e arricciano gole e
sonni ai barbari accampati
oltre la siepe
mentre nessuno più scende goloso di predare
le mie carni, o le tue, canore e pallide
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SILVIA CAMBIE' è come un rigore che spiazza il portiere. L’ascolti mentre srotola queste parole sincopate e allegre e da come suonano tutte assieme, da come rimano, elettriche e nervose, come lacerti di filastrocche accelerate col fast-forward, pensi: è una burla. Cioè, pensi: son cose divertenti, qui si scherza. Poi distingui le parole e le colleghi, è un attimo e tra una rima e l’altra, nel giro dei pochi versi - perché quasi tutte sono poesie brevi - emergono chiare le cose che Silvia chiaramente dice: l’amore assoluto; la mancanza; il sesso; l’ipocrisia; lapsus; scarti umorali; i piccoli - e quindi più appuntiti - aculei della disperazione. Ci sono l’odio per l’amica infame e l’insofferenza per un ambulante insistente, l’approvazione per una lavatrice che gorgoglia e balla. Tutto quello che ha a che fare, o che dovrebbe insomma, con il cosiddetto senso alla vita.
L'amore è quella cosa che
non esiste quando non c'è
e quando c'è diventa tutto.
Questa definizione è il frutto
di lunghe analisi comparative
fra varie specie d'oche giulive.
alla mia lavatrice
La mia lavatrice dice
gorgogliando con orgoglio
che se lava lei è felice
e fa più di ciò che voglio
oltre a stare al mio volere
si dimostra alquanto estrosa
è un'artista da vedere
lei trasforma il bianco in rosa
in un ciclo di lavaggio
mima il rombo di un biplano
dal decollo all'atterraggio
urla più di un capo indiano
ma la dote peculiare
che giustifica ed avalla
questa lode singolare
è che mentre lava, balla!
E non c'è soltanto quella
...la mia lavatrice è bella.
poi ci sono le invettiveinventive come
per una cara amica
Sei da anni la mia migliore amica
quindi lascia che te lo dica:
ti ho voluto sempre bene
ascoltavo le tue pene
con sincera comprensione
per qualsiasi confessione;
non me ne importava niente
anche se eri un po' indecente
coi tuoi mille spasimanti,
nelle cene con gli amanti...
ogni sera uno diverso,
dei tuoi "amori a tempo perso"
ascoltavi i complimenti:
che stupendi lineamenti,
che ragazza interessante,
uno sguardo ammaliante..
poi finiva sempre presto
per il minimo pretesto:
niente storie durature
solamente avventure.
Raccontavi divertita
come era la tua vita
ti dicevi soddisfatta
io ti davo della matta,
e poi inaspettatamente
hai trovato finalmente
la persona con cui stare
quella che non vuoi lasciare.
Non so se ne hai memoria
l'hai incontrata, brutta troia
proprio nella mia mansarda
e sei stata una bastarda
perché era mio marito,
me la son legata al dito
anzi peggio: io ti ammazzo
e con te anche quel pazzo.
Io vi investo con un treno,
io vi invito e vi avveleno
con il dolce più squisito:
piatto freddo. Garantito.
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MARCO BIN è uno che vince a man bassa i poetry slam (anche contro Rosario Lo Russo! e persino contro il sottoscritto - ultimo, in ordine di tempo, al Sottovento, rendendo vana la claque che avevo prezzolato all’uopo). Scrive e interpreta le sue poesie con una spudoratezza che tendevo a ritenere disdicevole. C’è l’ermetismo, nella sintassi e nel lessico che più che scelto è rarefatto, nelle frasi sospese a dire tutto o se non tutto il più possibile. C’è il lirismo di chi cerca appigli e appoggi non nelle rime o nei piedi dei versi, ma nelle cose, in primis, perché le cose già di loro sono spigolose. C’è, soprattutto, l’entusiasmo. Occupandosene, non ha paura di pronunciarla la parola “anima.”
Le sue poesie parlano di amore e morte, di luci e vertigini interiori, di baci e silenzi e della madre che sa morituro il figlio o della figlia davanti alla perdita del padre e, naturalmente, di Dio.
ITE MISSA EST
So che era morto qualcuno
dopo un Tu mi ha baciato
e tempie a tempie appoggiarsi.
Il resto dei giorni a sfiorirci
di tra le labbra.
So che era sereno fuori.
Il mondo, un giocattolo spezzato.
Non era quello il tuo cielo.
Un azzurro troppo netto
piombato sulle cose.
L’intero sagrato tremava di luci
di suoni a spogliare feroci gli sguardi
dal dono di un forse, da un altro quando.
Nel sole troppo bianco tu eri nuda
a ognuno blindata di frasi per tutti.
Allora siamo venuti
vestiti di lutto fin dentro gli occhi.
Ciascuno a chiamarti, a fermarti il viso
tra le mani, a trattenerti intera
nell’abbraccio, a farti propria
solo un istante incolume al tempo.
Nessuno ha schiuso il tuo vuoto.
Lo strapiombo, strapiombo è rimasto.
Ma eravamo noi il tuo cielo.
Il buio buono nel sole delle tre.
II
Come mai questo tremare?
Gli scricchiolii di anni a tratti
corrono ora, si annidano assieme
immobili rodono, come crepe.
Ora aspetti un colpo
lo squarcio che strappi e uccida
questo morire feriale
che morde a ogni morso di pane.
Nell’angolo più alto dello sguardo
il tempo è un gatto
che trema nel suo buio.
VIII
Vedrai fiorirà in gola, come una sete.
Sarà il bambino che si alza
dopo il primo salto di cielo.
Conserva, sboccerà la maceria di suono.
Ora non tradire la sillaba chiara
il suo primo canto appena sei stata.
Si, nient’altro poi.
E poi l’aprirsi dei giorni.
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Scritto da Alfonso Maria Petrosino*
* ALFONSO è dottorando presso il dipartimento di Filologia Moderna dell'Università degli Studi di Pavia. Ma soprattutto è poeta:i suoi testi sono apparsi sulle riviste «Atelier», «Poeti & Poesia», «L'immaginazione», il quotidiano «La Repubblica» e le antologie I poeti laureandi (Monboso editore, 2006), Nelle vene della terra (Premio Subway, Milano - Roma - Napoli, 2007), Oltrepoesia (Monboso editore, 2007) e Leggere variazioni di rotta - 20 poeti dal blog liberinversi (Le voci della luna, 2008). Autostrada del sole in un giorno di eclisse (Edizioni O.M.P. Farepoesia, 2008) è il suo primo libro, a cui è seguito Parole incrociate (Tracce, 2008).