I racconti del parrucchiere
di Elvira Seminara
Roma, Edizioni Gaffi, 2009
pp. 180
€ 7,50
Volendo a tutti i costi circoscrivere proporzionalmente qualsiasi forma di attività umana che abbia riscontri pragmatici nel cotidie vivere, potremmo (superficialmente?) affermare che il parrucchiere sta alla donna come il calcio sta agli uomini. Non volendo cadere nel più banale sessismo, posso però confermare che noi maschietti difficilmente riconduciamo i nostri piccoli microcosmi a qualcosa che vada al di là delle chiacchiere da bar o del conto da pagare all’interno dello stesso.
Pietrangelo Buttafuoco, presentando “I racconti del Parrucchiere” di Elvira Seminara, tira in ballo le unità spazio-temporali di matrice aristotelica accorpando giustamente ad esse l’unità “phon”.
Pur non cercando di sminuire la divertita creazione di Buttafuoco, dal mio umile e miserrimo punto di vista ritengo che un’altra unità “amica” riscontrabile nel bel libro di Elvira Seminara sia quella dei “caratteri”. Caratteri fatti di carne e sangue, di contraddizioni, di cadute e di risalite. La scrittrice si adopera per portare a galla verità, storie e sofferenze legate a personaggi di finzione le cui storie partano da una base ben stabilita: quella del rito del parrucchiere, del coiffeur, di colui che lavorando sodo fa sì che la cliente torni a casa sostanzialmente animata dalla gioia che scaturisce dalla modifica relativa alla propria acconciatura. Apparire “migliore” rispetto a quando si è entrati nel salone.
È veramente così? Forse all’apparenza, o forse no. Le straordinarie storie della Seminara sono intime riflessioni sul quotidiano che può diventare eccezionale oppure tragico, una routine soffocante che trova nel sedile del parrucchiere la salvezza o, a seconda, la disgrazia. L’autrice, che ha il dono (non comune) di una coerente, gioiosa e piacevolissima fluidità narrativa mescola con leggiadria e sapienza le carte di diverse condizioni umane non sempre felici dando vita a ritratti impietosi ma colmi di dignità. Ecco, con i “I racconti del parrucchiere” ci troviamo davanti alla raffinatezza di una scrittura che sa anche parlare di morte e di tragedia. In un’epoca come la nostra in cui la confusione coinvolge anche la scrittura, direi che non è poco.
Giuseppe Paternò Raddusa
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