La solitudine dei numeri primi
Di Paolo Giordano
Milano, Mondadori, 2008
Fin dalle prime pagine, mi sono domandata come questo romanzo possa essere diventato un bestseller venduto persino al supermarket. Sia chiaro, il titolo è originale, la copertina attrae, lo stile è asciutto e scorrevole, ma la trama sconvolge. E sconvolgere è decisamente difficile nel ventunesimo secolo. Potremmo chiamarlo un romanzo del disagio, in cui i due protagonisti, Mattia e Alice, cercano disperatamente di trovare una propria serenità, vietata dai traumi dell'infanzia. A Mattia un violentissimo senso di colpa impedisce di vivere gli affetti con spontaneità e naturalezza, mentre Alice è imprigionata nell’incubo della sua camminata claudicante, causata da un incidente di sci quando era bambina. La prima parte del romanzo intesse tutti i preamboli perché Mattia e Alice si conoscano durante la loro adolescenza, si studino, inizino a puntellarsi l’uno all’altra, tra una illusione di amore acerbo e un’amicizia minata dal timore di concedere fiducia.
Privo di orpelli sentimentali, ma ricco di sentimento, impietoso nel concedere poche pagine a ogni capitolo, Giordano sa esattamente dove affondare il coltello e snidare emozioni scomode a volte, fastidiose, che si fanno quasi tormenti. Per questo non la considererei mai una lettura da ombrellone, nonostante tante copie della Solitudine dei numeri primi siano inzaccherate di sabbia: per quanto si cerchi di prendere le distanze, le storie avvincono e trascinano nella nebulosa delle sofferenze dei protagonisti. Senza lasciar scampo al pathos, ci si ritrova a rabbrividire per l'autolesionismo di Mattia, a temere per i problemi alimentari di Alice, e a desiderare fortemente un buon finale che rappacifichi i sensi. Ma di scontato non c’è proprio niente. Un Premio Strega e un Campiello (opera prima) ben destinati.
GMG
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