Le correzioni
Jonathan Franzen
Torino, Einaudi, 2002
“…per poco Denise non infilò la lingua in bocca alla graziosa vecchietta, per poco non le accarezzò i fianchi e le cosce, per poco non cedette e non promise di andare a St. Jude a Natale …. Solo allora si rese conto dell’entità della correzione che stava subendo.” Questi i sentimenti di una figlia adulta nei confronti della madre e questo lo spirito di un romanzo intelligente come "Le correzioni" che entra nel microcosmo di una famiglia americana del Midwest, i Lambert e ne celebra con ironia devastante ogni contraddizione.
Genitori come tanti che passano l’esistenza a salvare le apparenze, a perseguire con ostinazione quello che è giusto per i figli e figli che sembrano essere nati per rivendicare la propria diversità, l’identità che pretende di correggere la generazione dei padri per essere infine corretta a sua volta dal tempo che leviga piano ogni differenza. Così i tre figli Lambert si ritrovano ad accontentare il desiderio della madre di passare un ultimo Natale insieme prima della morte di Alfred il capofamiglia tornando nel luogo da dove erano partiti per il mondo. Prima della scena finale però Franzen ci fa entrare nella vita di ciascuno dei figli attraverso una panoramica che a seconda dei punti di vista può essere una parabola verso il fallimento o una semplice discesa verso un auto miglioramento. Chip viene licenziato per “comportamento sessuale scorretto” e non lavora in uno studio legale come credono i suoi; Gary convive con una latente depressione come la maggior parte degli Americani sani; Denise è travolta dagli imprevisti della sua sessualità che vanno esattamente nel senso opposto al desiderio della madre che metta su famiglia.
Franzen segue il flusso dei loro pensieri rincorrendo con una prosa rocambolesca ogni negazione dei loro propositi, ogni paura di essere un Lambert, ogni reazione a quella modernità che trasforma tutto in spazzatura, ogni insicurezza notturna. Il lettore vive un pericoloso processo di identificazione forse perché anche lui è un figlio e anche lui sa cosa vuol dire assistere a imbarazzanti scene matrimoniali da bambini. Parlare di una prosa cinica è scontato, Franzen è un dissacratore di quei valori occidentali che sono difesi con discorsi deliranti da quei pochi che rifiutano ancora di fare la conoscenza di stessi. Il declino però non è mai irreversibile come sembra e sarà deviato dalla malattia di Alfred colpito da Parkinson. Inizia un percorso individuale che ciascun figlio fa per accettare la sofferenza questa specie di pozione magica che finisce sempre per fare da collante a relazioni interrotte o finte. La stessa sofferenza però genera anche un complesso sistema di appoggi e chiusure a incastri che fanno delle vite degli altri una scommessa, uno strumento per il cambiamento. Come Enid che si appoggia alla sofferenza del marito per cercare di giustificare ogni sua pretesa nei confronti dei figli, si convince di dire frasi e compiere azioni solo per colpa del Parkinson e diventa così più indulgente verso se stessa. Sarà cosciente della finzione che assorbe la sua vita solo quando Alfred andrà in una clinica durante la sua fase terminale e poi morirà “non avrebbe saputo dire perché il materialismo di Gary, i fallimenti di Chip e la mancanza di figli di Denise, che in tutti quegli anni le erano costati innumerevoli ore notturne di giudizi logoranti e punitivi, la angustiassero molto meno adesso che Alfred era fuori di casa … e quando morì Enid sentiva che niente poteva più uccidere la sua speranza. Aveva settantacinque anni e intendeva cambiare alcune cose della sua vita”. Si chiude così la saga dei Lambert con la voglia di cambiamento del personaggio che era rimasto più di tutti uguale a se stesso durante il romanzo, il prologo di una correzione di ciò che sembrava incorreggibile, il senso di una vita nella trasgressione di una donna adulta, madre di famiglia come le tante sulle quali pesa un’intera società americana, che si redime dalle sue responsabilità solo con la morte del marito. Si gusta in anticipo una felicità condizionata che muta tutto in una costrizione mascherata da sorrisi inadeguati alle situazioni e rituali che danno sicurezza. Se è vero che quando c’è ironia però significa che si crede ancora in qualcosa capiamo dalla scrittura elettrizzata a tratti isterica di Franzen che i Lambert sono ancora vivi.
Se “Le correzioni” diventassero un film sarebbero probabilmente una di quelle situation comedy che ritraggono la quotidianità con un’ironia spesso insolente che non lascia tregua tra una risata e l’altra e che a spettacolo finito e televisore spento ti chiedi Cacchio sono davvero così anch’io?