Storia di un tedesco
di Sebastian Haffner
2003, 235 p., brossura
Traduttore Groff C.
Editore Garzanti Libri (collana Saggi)
Voglio proporvi una sorta di sillogismo. Siamo coscienti che quello che è accaduto una volta può accadere di nuovo. Vogliamo evitare che il Male si ripeta. Allora dobbiamo leggere “Storia di un tedesco”.
Un’opera contro l’oblio. Un manifesto alla memoria. “Storia di un tedesco” è molto di più, è un atto d’amore verso l’umanità. Un figlio di famiglia, un prodotto medio della borghesia tedesca degli anni Trenta, come si definisce lo stesso Haffner che racconta la sua infanzia e giovinezza. Solo questo, la semplicità di una storia personale che diventa Storia. Anche se scritta alla fine degli anni Trenta, quando ormai Haffner aveva scelto l’esilio, verrà pubblicato dal figlio dopo la sua morte nel 2000. Ora è testimonianza, allora era vita. Questa è una risposta alla domanda che tormenta ancora la vecchia Europa sull’incubo collettivo che cerchiamo di esorcizzare con film, feste della Liberazione, infinite Carte dei diritti dell’uomo: com’è stato possibile?
La struttura dell’opera (Prologo, Rivoluzione, Congedo) ci aiuta a seguire le fasi dell’ascesa al potere dei nazisti e della nascita del Terzo Reich, avvenimento graduale non imprevedibile, sintesi naturale di diversi elementi che vennero sottovalutati. La cronaca di una morte annunciata usando un’idea di Marquez, tutti sapevano ma sembrava così assurdo e irreale che potesse accadere davvero che nessuno fece nulla, tutti continuarono a vivere come sempre e piano tutto si trasformò nella normalità. Qualcuno potrebbe ritenere che per comprendere gli eventi decisivi della Storia sia più utile un manuale che la lettura di un racconto sulla vita privata di un uomo ma sono gli anonimi a fare la Storia. Haffner dice “ nella genesi del Terzo Reich c’è un enigma che mi sembra ancora più interessante della questione di chi abbia incendiato il Reichstag. La domanda è questa: ma che fine hanno fatto i Tedeschi? Sono diventati tutti nazisti? Com’è potuto accadere che da parte loro sia mancata qualsiasi reazione?”. Ma quale reazione ci può essere in un duello impari tra uno stato brutale che devasta la sfera privata e anonimi cittadini che non sono eroi nati ma uomini qualunque? Si potrebbe adottare uno schema temporale che divida gli avvenimenti prima del 1933 da quelli dopo il 1933, una sorta di anno zero della Germania del Novecento. Il coraggio letterario di Haffner sta nel fatto di non aver ceduto al ripiegamento intimista della letteratura tedesca della fine degli anni Trenta ma di aver dato un’opinione sugli eventi storici di quegli anni, aver cercato di elaborarli e di non allontanarsene neanche emotivamente per quanto difficile. Così dalla sua penna e attraverso le parole degli altri Tedeschi da lui riportate, uomini di strada, uomini di potere, studenti, radio, giornali possiamo conoscere il pensiero che l’opinione pubblica aveva in quel tempo di quel tempo. Tutto ciò è emozionante, riflessioni su Hitler quando ancora non si sapeva quello che sarebbe stato, sul deprezzamento del marco, sulla fame, sulla mania sportiva (anche oggi si parla di strumenti di distrazione di massa!), sulle continue crisi di Governo dopo la prima guerra mondiale che portarono alla grande confusione politica che si trasformò in delusione, poi in qualunquismo, poi in astensionismo infine appoggio della forza politica più visibile, più prepotente cioè i nazionalsocialisti. Il concetto di forza e prepotenza allora ricomprendeva anche la violenza fisica che iniziò ad essere usata contro gli avversari, sancendo la morte del dibattito politico, del senso etico della politica ma oggi il concetto di prepotenza assume altre forme ad esempio l’abuso dei mass media, la spettacolarizzazione della politica ma elemento in comune, costante di tali anomalie è il populismo. In un clima di nevrosi generale si fuggiva da valori quali la pace, la tranquillità perché erano aspetti della noiosa vita borghese, quella borghesia che voleva mediare e burocratizzare, colpevole della sconfitta in guerra e della gestione disastrosa della pace. Haffner scrive “è pericoloso perdere l’idea di pace, l’idea di politica perché una volta persa tutto diventa giustificato e naturale”. Assuefazione e abitudine presero il sopravvento sulla realtà, questa infatti venne deformata da convinzioni assurde.
L’originalità dell’opera non sta nell’invenzione, è Storia, non sta nel finale, lo conosciamo, neanche nello stile che è del tutto lineare ma il miracolo che questo libro compie è quello di modificare la nostra percezione dei fatti storici lontani nel tempo: li immaginiamo come epocali ma in realtà epocali lo diventano solo dopo. Il 30 gennaio del 1933 non fu neanche un giorno rivoluzionario, tutto avvenne a norma del diritto costituzionale: Hitler divenne cancelliere giurando fedeltà alla Costituzione di Weimar, iniziò a concentrare il potere nelle sue mani con mezzi legali dalle ordinanze di necessità fino a delegare al Governo l’intero potere legislativo come deciso dalla maggioranza dei due terzi del Reichstag. Da questo momento nessun cittadino tedesco ebbe più una vita privata, iniziò la neutralizzazione dell’Io che porta alla non azione. L’azione presuppone qualcuno che pensa e sceglie. Quello che venne negato fu proprio una scelta. Haffner parla a nome di una generazione sopraffatta dalla potenza, dalla violenza fisica e morale che dentro si strugge per l’immobilità alla quale è costretta. Haffner e la sua generazione iniziano a disprezzare se stessi coscienti del Male, dell’orrore ma al tempo stesso immobili, nazisti senza esserlo, senz’anima pur avendone una per soffrire. Il racconto della sua permanenza in un campo nazista per l’educazione dei futuri giudici, poiché era studente di giurisprudenza, dove finirà senza protestare è emblematico dello spirito di una nazione intera. “Il cameratismo può diventare uno dei più terribili mezzi di disumanizzazione”, uniformi uguali, ritmi di vita omologati, stessa sorte che unisce emotivamente anche gli individui tra di loro più diversi. “Il cameratismo rende sopportabile l’insopportabile e cosa più grave elimina totalmente il senso della responsabilità. (…) Cantavo anch’io, del resto. Cantavamo tutti. Ciascuno la Gestapo dell’altro”. Sono stati bravi i nazisti ,“ hanno ridotto tutti i Tedeschi alla stregua di camerati”. Il racconto si fa ancora più vivo nella descrizione dei cambiamenti inaspettati che subirono i suoi amici o del senso di smarrimento del padre, anziano funzionario tedesco allibito davanti alla trasformazione della politica o ancora delle persone ebree a lui vicine.
La tensione accompagna il lettore soffocato davanti alla narrazione degli eventi che mortificano la condizione umana e ossessionato da un dubbio crudele Cosa avrei fatto al suo posto? L’unica cosa che possiamo fare è evitare di ergersi a giudici di quegli esseri umani e riflettere piuttosto sul nostro tempo facendo tesoro di quella testimonianza. Guardare sempre con spirito critico al potere in ogni sua manifestazione. Non possiamo vivere come chi ha scampato il pericolo. Lungi da ogni morale sono i fatti che parlano. Ieri la colpa era della politica borghese e degli ebrei, oggi è dei giudici, dei giornalisti e degli immigrati. Ieri viveva Sebastian Haffner, oggi viviamo noi.
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