Espiazione
di Ian McEwan
2005, 388 p.
Torino, Einaudi
traduzione di Susanna Basso
Il mio rapporto con questo romanzo è molto particolare. Lo acquistai, d’impulso, dopo aver visto la trasposizione cinematografica di Joe Wright (2007, con Keira Knightley e James McAvoy). Ciò che mi aveva affascinato di quella pellicola, sopra ogni cosa, era stata la colonna sonora del compositore pisano Dario Marianelli: una colonna sonora da Oscar (e da Golden Globe), che sembrava voler dire qualcosa di più di quanto risultava dalla semplice visione del film. È difficile non rimanere soggiogati dal tema della protagonista, la tredicenne Briony: una partitura in cui una macchina da scrivere è usata come un pianoforte e, al contrario, il pianoforte diventa quasi una macchina da scrivere.
Dunque, intrapresi la lettura di Espiazione con un obiettivo piuttosto strano: volevo a tutti i costi rintracciare il nucleo ispiratore di quella musica così particolare, così stranamente “letteraria”. Fu sorprendente scoprire che quel nucleo era costituito da una prosa limpida, corposa e disposta con ordine cristallino sulla pagina, analitica e rigorosamente geometrica anche nei momenti di maggiore dramma.
Esattamente come una partitura musicale. Ogni capitolo elegge come punto di vista quello di un personaggio particolare, con i suoi esclusivi pensieri e problemi, con il proprio “tema” da sviluppare. La piccola Briony col suo universo armonioso e infantile pronto a sgretolarsi, la caotica Cecilia con un’inquietudine a cui dare un perché, e il giovane Robbie con una lettera dimenticata per sbaglio sull’Anatomia di Gray; e ancora altri personaggi ritratti con maestria da miniaturista, con un’attenzione costante alle dinamiche familiari, ai silenzi e agli equivoci alla base dei rapporti umani a partire da un torrido pomeriggio inglese del 1935. Nella prosa di McEwan, la macchina da scrivere sembra davvero mutarsi in un pianoforte, la cui peculiarità è in una costante delicatezza formale e in un nitore tutto speciale.
Si tratta di una lettura “lenta”, da degustare piano e con attenzione. Il dramma si svela alla fine, quando il narratore svela la propria identità e il problema dell’espiazione, che silenziosamente ha attraversato ogni pagina, si chiarisce una volta per tutte. Ma la lentezza della lettura è dovuta a ben altro: leggendo questo romanzo, vi accorgerete che la dimensione della narrativa è magistralmente congegnata da McEwan come un sistema di strati su cui esercitare una speciale archeologia. Ogni strato è un velo di menzogna, di mezze verità, di interpretazioni a posteriori, sovrapposte l’una all’altra in modo impalpabile: soprattutto, di rimorso, scoprirete alla fine il perché. E credo che ritornerete, come ho fatto io, a ripercorrere le pagine del romanzo cercando le tracce di questo atroce dolore, senza redenzione se non nella finzione letteraria.
Laura Ingallinella
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