Lev Nikolaevic Tolstoj
La morte di Ivan Il'ič
1886
92 pagg. ca
"Se la morte parlasse questa sarebbe la sua voce" disse Carlo Bo di questo agile volumetto, una piccola bomboniera se paragonato ai propri fratelli maggiori, frutto del lavoro alacre del grande romanziere russo. La trama è alquanto semplice, principiando ossimoricamente dal funerale di Ivan, il protagonista, si rivive in flashback la sua vita, piacevole e leggera nel primo tratto, prima della malattia che lo porterà alla morte, chiudendo l'anello di una riuscita ed evidente ringkomposition. Fosse tutto così semplice ed ingenuo non s'avrebbe molto da discutere, al solito la morte come entità ignota, limite entro il quale non si può tornare indietro, bla bla bla. Cos'è allora che interessa a Tolstoj? Scrivere un racconto lungo su materiale trito e ritrito dagli albori della letteratura? No, non è questo. L'autore penetra, con una particolare acutezza, nei meandri delle ampie volute della vita del suo personaggio, evanescente ed impalpabile come del fumo di sigaretta; ed è come se ad un certo punto svanissero ed evaporassero tutte le soddisfazioni della carriera, le gioie familiari, le amicizie e le partite a carte: tutto questo di fronte alla prospettiva della morte si dissolve colpito al cuore della propria ipocrisia. Sotto la luce funerea della sua fine imminente Ivan si rende conto di aver vissuto in maniera sbagliata, arriva ad una consapevolezza delirante delle menzogne della propria esistenza, tale da fargli accettare la morte così com'è, una cessazione delle proprie sofferenze e, nel suo caso, anche di quelle degli altri. Appena all'inizio del libro si discute, a tal proposito, dell'assegnazione del posto libero di magistrato lasciato dal defunto. Nella fugace ed incerta consistenza della vita terrena, di cui l'unica certezza è che prima o poi finisca, spuntano solitari piccoli bagliori a cui aggrappare gli occhi: questo nella sincera e genuina bontà del servo Gerasim, unica persona non malvolentieri vicina al moribondo. In ultima analisi Tolstoj, con le labbra di Ivan Il'ic, propone sottovoce non un'eventuale soluzione ad una morte ineluttabile, ma la possibilità concreta di avviarsi, ultima necessitate cogente (Seneca, De Brevitate vitae) ,ad una fine più dolce, appoggiandosi l'uno alla spalla dell'altro piuttosto che alle fragili sovrastrutture della società umana.
Adriano Morea
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