"Il sole si spegne"
di Osamu Dazai
edizioni Feltrinelli
Una confessione triste e coraggiosa è il testamento di Naoji e insieme il lungo addio della classe aristocratica giapponese che negli anni del dopoguerra sarà definita “gente del sol calante”, ridotta in miseria da guerra e inflazione. Quell’aristocrazia genererà figli che proveranno a sopravvivere a questo cambiamento divorati però da un’ansiosa nostalgia per la purezza delle loro origini. Sarà fatale per Naoji lo scontro tra il suo orgoglio, sentimento invincibile dell’appartenenza aristocratica e l’invasione di valori prima sconosciuti e di nuove ostilità. “Il sole si spegne” è un vivo ritratto di quell’epoca e insieme un sentiero sul quale Osamu Dazai lascia tracce autobiografiche che rendono il romanzo un doloroso incontro con l’autore. Si crea una spaventosa intimità che a tratti è faticoso sostenere e può risolversi nella decisione sofferta di chiudere il libro senza sapere se mai si riprenderà la lettura.
Il libro esce nel 1947 e pochi mesi dopo la pubblicazione Dazai muore suicida nel lago Tamagawa, dopo una serie di tentativi precedenti di darsi la morte. La sua vita come quella del protagonista Naoji fu uno scandalo, consumata da alcol e droga, indebolita dagli effetti della decadenza che rese lui e la sua classe “vittime di un periodo di transizione della moralità”. La società appare spietata verso chi sta perdendo l’identità, travolta dagli ingranaggi della modernità: questo giovane aristocratico prova ad essere amico del popolo, a ribellarsi al sangue del padre e alla gentilezza di sua madre, a diventare rude bevendo e usando un linguaggio volgare ma per il popolo rimane solo un grande presuntuoso e per quelli della sua classe ormai uno sciagurato. Una figura che sfugge dunque ad una collocazione sociale è una figura che fa paura, paradossalmente nonostante sia impossibile ogni forma di controllo su di lui Naoji si sente debole, si uccide perché scrive “ci deve essere da qualche parte una grave manchevolezza”. Debole e schiacciata dal nuovo corso della storia è anche la sorella Kazuko, alla quale egli lascerà la lettera, che però coglierà in parte la sfida della corruzione dei costumi e della povertà che le riserva il dopoguerra. Se la storia di Naoji termina con la morte, quella della sorella genererà vita. Prima di essere un’aristocratica che inizia a lavorare la terra per necessità Kazuko è una donna e come tale non tradirà la propria natura: sarà madre. Il bambino che porta in grembo però è la conseguenza stessa della decadenza, un bastardo, nato fuori da ogni matrimonio, lo scandalo vissuto dai fratelli che si fa carne. Simbolo della vittoria di una rivoluzione morale che dilaga e si manifesta nella vita che continua. Tre generazioni a confronto: i fratelli Naoji e Kazuko vivono all’ombra della madre ormai anziana, ultima signora del Giappone, la amano, se ne prendono cura ma allo stesso tempo si sentono oppressi da questa presenza, non ammettono il desiderio di liberazione ma lo invocano. La madre incarna l’aristocrazia stessa; origini dalle quali è doloroso staccarsi ma quasi naturale, naturale per come sta andando il mondo, teatro di personaggi ibridi, come il bimbo che nascerà, che la nonna non conoscerà mai. Sono due mondi che non possono incontrarsi se non in questa sfortunata generazione di passaggio, quella di Naoji e Kazuko.
Nel romanzo vi sono continui riferimenti alla cultura europea, testimonianza del rapporto che lega ancor oggi il Giappone alla cultura occidentale. Rispettando la tradizione della letteratura giapponese Dazai rende con le parole la potenza e i colori delle immagini che descrive come metafore di sentimenti, sensazioni, presentimenti. I dialoghi brevi che sembrano a volte lasciati in sospeso prenderanno corpo in lettere e diari, segni di una scrittura intimista. Questo è un romanzo onesto che non pretende una lettura compassionevole perché i suoi protagonisti hanno provato ad essere liberi.
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