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L'ultima scelta dell'acrobata

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L'ultima scelta dell'acrobata
di Yuri Rutigliano

Montedit, 2009

“Ogni amore è preoccupazione/ è notte insonne a pregare”. Propongo questo distico a incipit dell’analisi della prima raccolta di Yuri Rutigliano per l’amarezza e l’inquietudine di cui sono intrisi e che reputo indicativi del percorso del metaforico equilibrista, l’amante appunto, “costretto nuovamente al rischio del baratro”.
Il verso libero comunica la variazione del ritmo, l’incalzare del pensiero e dell’emozione, con un’oscillazione tra sezioni traboccanti di sentimento, straripanti come fiumi in piena, e sezioni epigrafiche, quasi iscrizioni lapidarie sulle panchine di un parco.
Tanti e vari i campi semantici utilizzati per tradurre in parole l’ineffabilità, la difficoltà del sentimento e, particolarmente suggestiva, la resa in chiave musicale dei “sussurri rediesisminore e sibemolle/ […] Tutti discorsi musicati in accordi minori”, a sottolineare i toni sommessi di un dialogo malinconico che prosegue, nonostante il trascorrere logorante del tempo, in un’epistola in versi.
Le “poesie del malamore”, come le definisce l’autore, trovano il loro emblema nell’immagine di “quei due splendidi salici piangenti/ che si amano da sempre/ senza essersi mai potuti abbracciare”, e che ha il suo riscontro più onirico in un brano di grande visionarietà che arriva ad antropomorfizzare il vegetale e deumanizzare il poeta in uno sfalsamento temporale che, come nella prosa contemporanea, mesce i paini cronologici della narrazione: “E racconterai la storia fantasiosa e incredibile/ del salice piangente che fu marinaio/ che morì mille volte senza morire mai/ parlerai al pubblico addormentato/ del passato del presente e del futuro/ e riuscirai ad essere precisa/ solo su quello che dovrà ancora venire/ perché il passato e il presente quasi mai/ mantengono le promesse del futuro.”
Il “tu” onnipresente dell’interlocutrice resta nel più spettrale anonimato quasi fosse davvero un fantasma della mente dell’io lirico. Nessuno pseudonimo, nessun parallelismo con figure della mitologia per riferirsi a questa donna-ombra, non siamo di fronte a un “tu” montaliano. La donna, descritta in pochi tratti, non si concretizza con forza icastica in un oggetto reale al contrario dell’ autore, il quale si rispecchia nell’uragano, nel mare in burrasca, nel salice, nell’albatro, forse, in quest’ ultimo caso, con qualche reminiscenza dell’idea bohemien di un artista incapace di vivere sulla terraferma, sospeso invece in aria, sul vuoto, proprio come un’acrobata. Ma, nonostante questa presenza impalpabile, la donna riveste un ruolo da coprotagonista perché: “la tua assenza/ non mi toglierebbe niente di te/ perché mi farebbe mancare me stesso/ mi ridurrebbe ad una frase sospesa/ ad un’espressione del viso senza emozione/ ad un teorema senza soluzione/ ad un’equazione nella quale l’incognita/ lo rimarrebbe per sempre”. L’uso di termini tratti dal campo delle scienze esatte testimonia la grande apertura della poesia contemporanea verso i linguaggi settoriali e dimostra la possibilità, come direbbero in campo musicologico Dalhaus ed Eggebrecht, di emozionalizzare ciò che è mathesis matematizzando quel che concerne la sfera del pathos. E, a chiusura della raccolta, l’ansia dell’io lirico scaturisce in una dimensione universale ricollegando il dolore del poeta a una “furiosa tristezza primordiale”, qualcosa di ancestrale e quasi geneticamente trasmesso: “Solo sui treni trovo per qualche minuto la pace/ forse perché il loro ballare sui binari/ riporta la mia inquietudine ad antichi retaggi”... e credo che lo stesso lettore sia portato a condividere la sorte dell' io lirico, lasciato “in sospeso” a cercare un equilibrio precario sul filo di una domanda che cerca di intuire se, alla fine, nel determinare il corso di un amore, conti maggiormente “il destino/ l’errore che l’acrobata ha messo in conto” o, come sostiene l’autore, un' "ultima scelta”.

E. M. Esposto Ultimo