di Giulio Ferroni
Liguori, 2009
Il libro di Giulio Ferroni si dichiara al lettore, nei suoi caratteri essenziali, già dal titolo: La passione predominante è quella della e per la letteratura. L’idea centrale di questo piccolo volume è proporre una discussione “antropologica” sul ruolo della letteratura e l’approfondimento dei modi con cui essa entra nel mondo, si fa voce tra le altre nell’universo contemporaneo della costipazione multimediale di linguaggi e informazioni.
Il carattere particolare dello scritto deriva dal fatto che non si tratta di una mera esposizione critico-saggistica bensì di un discorso che prende avvio da un’esperienza personale. I primi tre capitoli del libro sono, infatti, dedicati al racconto del sorgere della passione letteraria. La rievocazione delle proprie letture giovanili ,scolastiche e non, consente al lettore un avvicinamento particolare a uno degli storici e critici più noti della nostra letteratura, autore di una poderosa Storia della letteratura in 4 volumi e di molti interventi illuminanti come quelli mirati a definire le teorie del “comico” nel Novecento.
Ne deriva il ritratto di un giovane appassionato che si apre senza riserve all’universo dei libri e ne fa l’oggetto privilegiato dei proprio desideri, convogliando i suoi piccoli risparmi verso l’ideale di costruzione di una propria biblioteca. Le letture dei classici, l’apprendimento della letteratura nel contesto di una scuola così diversa da quella del presente, i primi giochi da critico e la passione combinatoria sono tutti elementi che servono a tracciare un profilo prima di tutto umano e a rendere più “ordinaria” una voce così autorevole. Dalle letture per ragazzi sino alle lezioni universitarie di Walter Binni, l’autore non stanca mai il lettore nel rievocare ricordi, nel raccontare aneddoti che non sono tesi a soddisfare una mera curiosità biografica.
Il rapporto vitale che Ferroni instaura con l’universo dei libri e della scrittura lo conduce a cercare costantemente in essi un qualcosa di essenziale ed esistenziale. Un tentativo di legare le letture alle proprie esperienze al fine di conseguire una maturazione che non sia soltanto intellettuale.
Alla delineazione del percorso personale dei primi tre capitoli segue una – appassionata è il caso di dire - riflessione sull’attuale stato di pericolo in cui versa la letteratura. Partendo da Todorov e dalla sua Letteratura in pericolo (2007), Ferroni conduce una disquisizione sulla condizione della parola letteraria nell’impero della comunicazione tecnologica, dell’espansione infinita delle informazioni pubblicitarie e della lotta tra i linguaggi. Questi elementi minano pericolosamente lo status della letteratura e l’hanno già costretta ad occupare semplicemente un posto tra gli scaffali delle biblioteche. L’espansione quantitativa del materiale cartaceo, la cui produzione è resa sempre più rapida grazie all’azione di una molteplicità di soggetti operanti come in un’industria, ha reso praticamente impossibile prendere una pausa fermandosi a riflettere per valutare la qualità della letteratura.
“I libri si inseguono e si scacciano l’un l’altro negli scaffali delle librerie, destinati a un consumo rapidissimo, che dà evidenza solo ai best seller, generalmente programmati dagli stessi editori, e non lascia spazio a tutto ciò che sfugge ai modelli precostituiti”.
Si tende sempre più a identificare l’acquirente con il lettore senza comprendere che coloro che comprano i libri non sempre li attraversano intimamente.
Ma la proliferazione delle scritture e il rigoglio esclusivamente quantitativo di esse non bastano a cancellare il valore sostanziale che l’universo letterario, nonostante tutto, riveste nella difesa della memoria. Proprio essa tende sempre più a trasformarsi in accumulazione di archivi e data base, e si riduce al disegno complessivo di una gigantesca Biblioteca/Archivio universale in grado di contenere tutte le scritture prodotte: la Biblioteca di Babele di cui parlava Borges.
Davanti a questo rischio di perdita di memoria, o meglio di eccesso di memoria informatica, Ferroni rivendica l’importanza di riscoprire quel valore della penuria, quel senso di mancanza e desiderio che animava Erich Auerbach durante il suo esilio in Turchia e che spingeva lui, bambino, a desiderare di comprare con i pochi spiccioli conquistati i volumetti dei classici della BUR.
Il volume si conclude con un’argomentazione sullo stato postumo della letteratura. Quali sono le speranze da nutrire? Cosa ne sarà dei libri? Che peso daranno ad essi le future generazioni?
Il senso di un bruciante timore percorre tutto il testo. Non occorre trovare delle giustificazioni per la letteratura, affannarsi a dimostrare la sua bontà, la sua validità pedagogica, la sua utilità. Tutti questi tentativi, scrive Ferroni, contribuiscono a indebolirla poiché suggeriscono che essa abbia bisogno di argomentazioni che la legittimino. In realtà è la letteratura stessa a parlare e, benché in pericolo, prova a difendersi in un mondo che è altrettanto in pericolo.
Il suo senso più intimo sta nella capacità di fungere da ponte tra passato e presente, nella sua facoltà di costituirsi come memoria universale e superare l’insensatezza dei modelli di sviluppo autodistruttivi che porteranno l’umanità alla rovina.
La proposta finale di Ferroni è quella di un’ecologia della letteratura come proposta di alternativi schemi di crescita. O ancora la proposta di una religione della letteratura:
“Una religione senza sacerdoti, senza poteri, senza dogmi, aperta alle possibilità più diverse, disposta ad assumere dentro di sé gli dei e i santi più eterogenei, ma anche a scacciare gli indegni fuori dai territori del sacro. Religione laica e atea, ironica e ambivalente, universale e relativizzante. Per me è la sola religione che garantisca una pur fragile, terrena, incompiuta salvezza, la sola possibile nella finitudine dell’umano”.
Claudia Consoli