LA STRAGE DEI FIORI
LA STRAGE DEI FIORI
poesie persiane
di Forugh Farrokhzad
Le Ellissi- Orientexpress
traduzione italiana di
Domenico Ingenito
Una clochard l’altra sera mi ripeteva: “Io non posso amare”. Avrei allora voluto leggerle in quell’istante dei versi di Forugh Farrokhzad:
“Pettinerò di nuovo i miei capelli nel vento?
Pianterò di nuovo le viole in giardino?
E lascerò di nuovo i gerani
Nel cielo dietro la finestra?
Danzerò di nuovo sui bicchieri?
I Rintocchi della porta mi condurranno
Di nuovo all’attesa di una voce?”
In questa raccolta di poesie della giovane poetessa iraniana curata dal giovane Domenico Ingenito, sentiamo scorrere la tradizione ma anche il presente di una terra sacra. L’Iran, dopo aver ricoperto di scandalo questa donna morta giovanissima nel 1967, l’ha poi santificata fino a fare della sua scrittura quasi un oggetto alla moda, abuso pubblico della sua intimità violentata da risvolti di revisionismo. Oggi leggiamo sui blog e vediamo nei film sull’Iran una netta contrapposizione tra spazio pubblico e spazio privato, vietati i comportamenti che non rispondono ai precetti della shari’a, sono praticati entro mura sorde e cieche, dove si fissano veri appuntamenti con dio. La stessa contraddizione faceva da fondale all’esistenza triste ma gloriosa di Forugh. I giovani de “I gatti persiani” film di Bahman Ghobadi sono costretti a suonare clandestinamente e allo stesso modo, di nascosto, si consuma l’amore che lei canta: il buio è la dimensione eletta per l’unione di quei corpi che nell’estetica della lirica persiana diventano fiori e giacciono in un giardino, radicati alla terra. E dalla terra fioriscono le sue passioni:
“Non ho mai desiderato, io
diventare un astro nel miraggio del cielo
o come spirito dei prescelti diventare
compagna silenziosa degli angeli
mai stata io, separata dal terreno
e mai amica delle stelle,
io m’innalzo sulla terra”
È la terra che nutre il rito notturno della celebrazione del peccato che cede alla stanchezza solo alla fine, solo quando “ per le strade fredde della notte /si separano gli innamorati lentamente”. La sua scrittura è poetica della notte, tempo dell’incanto e della perdizione, mentre in Occidente qualche anno più tardi, un’altra donna lo canterà, “because the night belongs to lovers”. Gli amanti ribelli vivono di notte nella luce della loro innocenza, senza vergogna o timore perché non c’è colpa, solo condanna. Rivive nei suoi versi il romanzo di Nezami di Ganja del 1188, Leila e Majnun, dove Leila (lett.la notte) e Majnun (lett.il pazzo)si contorcono nell'essenza di unione irrealizzabile, un folle amore tra un uomo e una donna che nella tradizione letteraria persiana non si consuma e in Forugh invece divora tutto lo spazio che si interpone tra i corpi.
“Buongiorno notte innocente!
Buongiorno, notte che trasformi gli occhi dei lupi della piana
In ossuti fossi di fede e di fiducia”
L’incontro amoroso, topos letterario per eccellenza nella poesia, si tinge di fiori rossi e si accende negli sguardi che l’amante disperde nello specchio quando è ora di curare la propria solitudine, morsa dal disincanto di un amore mortale, animato dalla fine di ogni nuovo incontro che già anela al prossimo. L’abbandono dell’amante partorisce una sofferenza che scava solchi d’umanità, porta acqua agli occhi e veste ogni gesto.
La misura dello scandalo che Forugh provocò sta anche nella tensione realistica della sua scrittura che non innalza mai la sua esperienza verso una dimensione evanescente ma sempre terrena:
“Sotto terra dorme colui che porterà salvezza
E la terra, la terra tutta che accoglie a sé,
è un segno di riposo”
e ancora
“ Forse verità erano quelle due giovani mani, quelle due giovani mani
Sotterrate dal peso della neve senza sosta”.
Il freddo , il buio , la terra, vortice di sensazioni e visioni riscaldate da sorsi di vino che scivola su corpi disfatti e defluisce come linfa per rendere la vita.
Qualcuno ha classificato Forugh tra le protagoniste di un femminismo ante litteram e la critica viene soprattutto oggi influenzata dai gender studies ma lei stessa disse di sé: “se la mia poesia può essere considerata femminile, è naturale, sono una donna. E se comunque la mia poesia è giudicata secondo criteri artistici, non credo che il sesso sia un fattore determinante”.
I suoi versi sono come perle nere che cadono al fresco di una stalla nel film di Abbas Kiarostami, Il vento ci porterà via (1999), quando il protagonista li recita ad una giovane donna che munge nell’ombra una vacca rifiutando di mostrare il suo volto
"Oh! Corpo rigoglioso
Le tue mani, come doloroso ricordo,
poggiale tra le mie mani innamorate.
E le tue labbra, come una sensazione calda di vita,
lasciale carezzare le mie labbra innamorate.
Il vento ci porterà via"
Esplode l’oscurità anche di giorno pervasa da un pudore che cosparge il preludio di un’estasi placidamente immorale.
Ode a Forugh e al coraggio che l'ha resa poetessa.