di Richard Yates
prefazione di Richard Ford
trad. italiana di Arianna Dell'Orto
minimum fax, 2009
Nel 2009 la minimum fax è uscita con un'accurata ristampa di Revolutionary road (1961) di Richard Yates, un autore a lungo lasciato in secondo piano e che, anche con l'ausilio del cinema (del 2009 è anche l'omonimo film di Sam Mendes), può tornare a farsi sentire. Per quanti lo conoscono e lo amano, quest’edizione si presenta corredata di ampia e nuova introduzione (Richard Ford) e di appendice (tra gli altri lo stesso Yates); per quanti non lo conoscessero ancora è l’occasione per avvicinarsi all’opera prima di un grande autore che ebbe “la disgrazia di scrivere all’inizio il proprio libro migliore”. E il suo libro migliore Yates lo fa iniziare con un fiasco: il fiasco di April come attrice, che è il suo fiasco nella vita. Di questo ci si accorge subito: anche noi lettori siamo avvolti da una nebbiolina che non ci fa vedere la buona strada da seguire. A ciò si aggiunge lo stile ironico di Yates, che fa della quotidianità dei personaggi, e del loro desiderio di fuggirla, un capolavoro letterario.
Una donna si sposa con un belloccio, (pseudo-artistoide che non ha né arte né parte), e intanto si ritrova due figli. Quest’uomo, per mantenere la mente lucida e giovane, vince il grigiore del proprio lavoro a suon di Martini e corna. Sempre la stessa donna ha ambizioni artistiche – perché è intorno all’arte tradita da incapacità e da artisti mancati e illusi, che gira buona parte della storia di una generazione che vuole sognare – sempre la stessa donna allora, che cerca di realizzarsi partecipando ai corsi della scuola di teatro di quartiere. Essere madre e moglie non basta, occorre qualcosa anche per sé: andare a vivere a Parigi, per esempio.
Quello che a Yates riesce è di farci percepire continuamente le fratture che portano alla disfatta emotiva di umani deboli (e questo non sarebbe stato difficile); ma gli riesce anche, e soprattutto, di farci deridere quei personaggi che sentiamo sempre più uguali ad una parte di noi. Chi nei propri vicini non ha visto almeno una volta i Campbell? Prima o poi ci si finisce tutti dentro, questa è la morale della favola. Oppure bisogna essere come l’ex-matematico che a suon di elettroshock ha dimenticato anche la matematica.
Fabio Mercanti