di Gianluca Purgatorio
0111 Edizioni (2009) p. 92
“...fogli della mia anima…”: così Gianluca Purgatorio definisce le pagine della sua opera. Sei racconti brevi, storie a sé stanti, con personaggi e ritmi differenti, che fanno della morte il loro comune denominatore. Tema di difficile sviluppo, soprattutto se si pensa che a scrivere è un giovanissimo autore di appena 24 anni al suo esordio letterario.
Il libro inizia bene: Il Dottor K…, racconto introdotto da una citazione del poeta sepolcrale Edward Young, nelle ultime battute svela un retroscena che stravolge l’idea che ci si era fatti fino a quel momento, infondendo un inaspettato sentimento di comprensione e pietà per i protagonisti, vittima e carnefice.
Il più riuscito, a mio avviso, è Il misterioso caso del Signor Smith. Brilla per originalità e si distingue per la caratterizzazione dei personaggi. Potrebbe essere il canovaccio per la sceneggiatura di un film surreale. Non altrettanto buono il brano di chiusura, Giocattoli. L’ho trovato prolisso, lento e dalla conclusione un po’ forzata e artificiosa. Da riscrivere.
Buone, in sostanza, alcune idee e assolutamente intelligenti certi spunti e passaggi.
Ma che si tratti di un’opera prima è evidente. Lo stile di scrittura deve ancora delinearsi in maniera definitiva e appropriarsi delle pagine con presenza costante. Devo ammettere, però, che le premesse sono buone, così come le visioni alla base della narrazione, mai scontata.
La classificazione del genere come horror, a mio avviso, non è affatto adeguata e devia il lettore che si aspetterebbe storie crude e spaventose. Il libro non è questo o, almeno, non solo.
Ciò che non mi ha convinto del tutto è il lessico utilizzato. L’autore, in quello che sembra essere un accanito tentativo di creare tensione, abbonda, a volte esagera, con un linguaggio forzatamente incalzante e colmo di termini cupi e lugubri, utilizzando aggettivi troppo ricercati e non usuali che appesantiscono la narrazione e che, spesso, risultano essere superflui.
Del resto, la terminologia che non si legge frequentemente rimane più impressa nella memoria e trovarla più di una volta nel corso della stessa pagina, suona come una fastidiosa ripetizione. Ma non appena l’autore sembra dimenticare la "finalità horror" e si abbandona ad una narrazione più fluida, ecco che lo stile diventa scorrevole e piacevole. E anche il racconto cruento, pur se narrato con parole semplici, coglie nel segno, regalando uno scenario di uno sconforto più profondo, effetto del contenuto piuttosto che della terminologia.
“Un uomo a cui vengono estirpati i ricordi è un uomo che inizia un nuovo percorso. Perde qualcosa. Molto. Forse tutto. (…) D’altronde cosa sono gli errori se non una pletora di ricordi che ci appesantiscono l’esistenza?”.
In conclusione, non mi sento di consigliare o sconsigliare la lettura di questo libro. Ritengo che la percezione che se ne possa avere dipenda molto dai gusti personali. Credo fermamente, invece, che Gianluca Purgatorio sia un autore in crescita da seguire nel suo percorso letterario.
Silvia Surano
Il libro inizia bene: Il Dottor K…, racconto introdotto da una citazione del poeta sepolcrale Edward Young, nelle ultime battute svela un retroscena che stravolge l’idea che ci si era fatti fino a quel momento, infondendo un inaspettato sentimento di comprensione e pietà per i protagonisti, vittima e carnefice.
Il più riuscito, a mio avviso, è Il misterioso caso del Signor Smith. Brilla per originalità e si distingue per la caratterizzazione dei personaggi. Potrebbe essere il canovaccio per la sceneggiatura di un film surreale. Non altrettanto buono il brano di chiusura, Giocattoli. L’ho trovato prolisso, lento e dalla conclusione un po’ forzata e artificiosa. Da riscrivere.
Buone, in sostanza, alcune idee e assolutamente intelligenti certi spunti e passaggi.
Ma che si tratti di un’opera prima è evidente. Lo stile di scrittura deve ancora delinearsi in maniera definitiva e appropriarsi delle pagine con presenza costante. Devo ammettere, però, che le premesse sono buone, così come le visioni alla base della narrazione, mai scontata.
La classificazione del genere come horror, a mio avviso, non è affatto adeguata e devia il lettore che si aspetterebbe storie crude e spaventose. Il libro non è questo o, almeno, non solo.
Ciò che non mi ha convinto del tutto è il lessico utilizzato. L’autore, in quello che sembra essere un accanito tentativo di creare tensione, abbonda, a volte esagera, con un linguaggio forzatamente incalzante e colmo di termini cupi e lugubri, utilizzando aggettivi troppo ricercati e non usuali che appesantiscono la narrazione e che, spesso, risultano essere superflui.
Del resto, la terminologia che non si legge frequentemente rimane più impressa nella memoria e trovarla più di una volta nel corso della stessa pagina, suona come una fastidiosa ripetizione. Ma non appena l’autore sembra dimenticare la "finalità horror" e si abbandona ad una narrazione più fluida, ecco che lo stile diventa scorrevole e piacevole. E anche il racconto cruento, pur se narrato con parole semplici, coglie nel segno, regalando uno scenario di uno sconforto più profondo, effetto del contenuto piuttosto che della terminologia.
“Un uomo a cui vengono estirpati i ricordi è un uomo che inizia un nuovo percorso. Perde qualcosa. Molto. Forse tutto. (…) D’altronde cosa sono gli errori se non una pletora di ricordi che ci appesantiscono l’esistenza?”.
In conclusione, non mi sento di consigliare o sconsigliare la lettura di questo libro. Ritengo che la percezione che se ne possa avere dipenda molto dai gusti personali. Credo fermamente, invece, che Gianluca Purgatorio sia un autore in crescita da seguire nel suo percorso letterario.
Silvia Surano