Come mi batte forte il tuo cuore
di Benedetta Tobagi
Torino, Einaudi, 2009
Ma Benedetta è anche figlia, anzi, come dice lei, “orfana”, dato che il padre è morto quando aveva tre anni. La sua ricerca storica si intreccia allora con una ricerca personale di quel padre con cui la Storia non le ha permesso di stabilire un rapporto (“Ero affamata di padre”, p. 32). La forza del libro risiede nello sdoppiamento della figura di Walter Tobagi in quella di giornalista e in quella di “papà”, intrecciando ricordi privati con avvenimenti pubblici. Questa operazione permette di delineare un ritratto efficacie di Walter Tobagi, evitando toni apologetici e mettendo in evidenza anche alcune mancanze del carattere del padre.
Tuttavia, la parte storica a tratti rivela un andamento narrativo e a volte riassuntivo, soprattutto nel delineare la storia delle formazioni terroristiche negli anni '70. La sezione finale è invece più interessante. Nell'ultima parte della sua vita, Walter Tobagi sembrava infatti aver intuito le manovre della P2 all'interno del «Corriere», e molti, dopo la sua morte, hanno avanzato l'ipotesi secondo la quale le neonate “Brigate XVIII Marzo” abbiano perpetrato l'attentato con l'appoggio di forze più potenti e interessate all'eliminazione di un giornalista 'scomodo' come Tobagi. Benedetta, tuttavia, mantiene il giusto distacco da ogni interpretazione che trascenda i risultati delle indagini, pur evidenziando i molti chiaroscuri relativi all'implicazione di Craxi, Gelli, e in generale di forze politico-economiche nella vicenda Tobagi e negli attentati ad essa correlati. Nella sezione 'familiare', invece, spesso il tono colloquiale cade nel patetismo, anche se non mancano passaggi commoventi, soprattutto quando Benedetta si interroga sui sentimenti – o meglio, sulla mancanza di sentimenti – dei terroristi nei confronti delle loro vittime. Notevole anche la riflessione sul pentitismo, in cui si intrecciano questioni private e pensieri di etica pubblica.
La ricostruzione di Benedetta Tobagi riesce quindi a far emergere un quadro ben documentato e ben delineato (anche con i limiti discussi sopra) del periodo storico travagliato degli anni '60 e '70 e di un'esistenza che in quegli anni ha cercato con impegno e costanza (e spesso, come emerge dalle lettere, anche frustrazione) di partecipare attivamente alla vita civile attraverso il lavoro giornalistico. Ciononostante, la domanda “chi era veramente Walter Tobagi?” ronza nella testa del lettore a lettura ultimata. Tanti sono i punti che non tengono, troppe le implicazioni con i poteri forti della politica e del giornale per chiudere il 'caso Tobagi' con la rivendicazione di un piccolo gruppo brigatista.
S. Riboldi