di Salvatore Scalisi
Besa Editore, Lecce 2010
€ 15.00
pp. 126
Un ritorno a casa come tanti altri, per andare a trovare un amico che per tanti anni ha popolato i ricordi. Ma fin da subito qualcosa di strano accoglie il protagonista, Luigi, che cammina spaesato per le vie della sua città d'origine, senza riuscire a ritrovare l'amico. Perché l'amico, a dirla tutta, non c'è - o meglio, non è un coetaneo come il protagonista pensava, ma un ragazzino di sedici anni, Andrea. E, per di più, un ragazzino infinitamente buono, una sorta di city angel che accorre e soccorre indiscriminatamente. Per Luigi, egoista e narcisista, mosso solo da un misterioso e a volte inquietante individualismo, tutta questa bontà è insopportabile e sospetta, dal momento che non ha mai creduto alla carità disinteressata. Tuttavia, non riesce a prendere le distanze da Andrea, e si crea un continuo movimento oppositivo tra curiosità e rifiuto. In questo rapporto di apparente amicizia (e il lettore di Scalisi capirà perché ho scritto 'apparente') restano coinvolte altre persone, donne che si infilano nel letto di Luigi, attratte irrazionalmente dal mistero che nasconde il suo sguardo, e in parte spaventate da un passato che non conoscono, ma che possono vagamente intuire.
E il passato, a un certo punto, collassa e poi riemerge con tutta la sua violenta realtà: se il lettore è istradato già dalla metà del libro a intuire qualche delitto, solo nelle ultime pagine si trova la conflagrazione di qualunque valore etico. L'ancestrale lotta bene-male sfocia quindi in un esito pieno di contrappunti e di amarezza.
Inquietante spaccato di una certa tipologia di omicida moderno, il libro si vorrebbe reggere tutto sul dialogo: la quasi totale assenza di descrizioni, la scarsa caratterizzazione dei personaggi (ricorrono qualificativi deboli come "bella" e "simpatico") e la riduzione della narrazione ai meri gesti, avvicinano il romanzo di Scalisi a un copione teatrale. Forse vi hanno pesato alcune letture di thriller e horror americani? Non saprei dirlo. Mi limito ad appuntare che le conversazioni non sono sempre coerenti al testo, né di vitale importanza per la comprensione della storia: spesso si parla pour parler, e le battute sono vacue, incolori. Tuttavia, questa scelta potrebbe (forse) rispondere al desiderio autoriale di puntare il dito contro tanta superficialità contemporanea...
GMG