Political Order in Changing Societies
di Samuel P. Huntington
I ed. 1968
Ed.it.: Ordinamento politico e mutamento sociale, Franco Angeli, Roma 1975.
Political Order in Changing Society è un libro importante e celebre di teoria delle istituzioni politiche, e il politologo statunitense Samuel Huntington, noto al grande pubblico per essere stato il teorico dello “scontro di civiltà”, ne è l'autore. Huntington, infatti, in un articolo del 1993 “The Clash of Civilizations”, e nel libro successivo, “The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order”, analizzando la situazione geopolitica post-Guerra Fredda, tentava di smentire la tesi secondo la quale la fine del conflitto Usa-Urss avrebbe determinato il dominio di un unico polo di potere internazionale; egli, invece, teorizzava lo scontro di civiltà come categoria interpretativa del mutato scenario internazionale: l'idea per cui l'acutizzarsi di faglie divisive tra i popoli e gli stati sarebbe avvenuta non più sulla base di uno scontro politico-ideologico, come in tutto il XX secolo, ma culturale, e di civiltà. Mentre il tema dello scontro di civiltà caratterizza la produzione huntingtoniana degli anni '90, l'analisi delle istituzioni politiche è il cuore della riflessione di Political Order in Changing Society (1968).
Che cosa sono le istituzioni politiche? Innanzitutto, per Huntington la principale differenza tra i regimi politici è di forza, e non di forma. La distinzione fondamentale è tra regimi forti, capaci di governare, dotati dell'autorità e della flessibilità necessaria per il governo, e regimi deboli; e non tra democrazie e totalitarismi. La forza delle istituzioni, dei governi, e dei regimi politici, è la loro capacità di governare, è la loro efficacia nel regolare i comportamenti sociali. Nei regimi che Huntington definisce “pretoriani”, caratterizzati da decadenza politica, cioè da un'acuta instabilità e violenza di regime, e da una diffusa corruzione al vertice, quali sono le vie di uscita dalla decadenza? E quali attori sociali sono in grado di sollevare le sorti di questi regimi dalla decadenza ulteriore? Qual'è il ruolo, perciò, giocato dai militari? Sono essi in grado di riportare l'ordine e di porre le fondamenta di un regime stabile? Qual'è il ruolo dei monarchi, dei lavoratori, degli studenti, del clero, del sottoproletariato urbano, delle potenze straniere? Quale conflitto si stabilisce, nella fase della modernizzazione delle società, tra città e campagna? Qual'è il timing strategico di cui il politico riformatore deve tenere conto per attuare le riforme strutturali? Quando non sono più possibili le riforme ed è possibile solo la rivoluzione? Qual'è il ruolo della principale istituzione della modernità, cioè il partito, nella costruzione di regimi civili, cioè quei regimi in cui le istituzioni sono forti, cioè capaci di governare?
In Political Order Huntigton tenta di rispondere a queste, tra altre, domande, passando in rassegna una fitta serie di casi empirici, con particolare riguardo agli stati dell'America latina, dell'Africa e dell'Asia. L'attenzione caratterizzante a questi Paesi di recente decolonizzazione, o di recente modernizzazione socio-economica, è fortemente legata all'intuizione fondamentale del libro: la critica alla tesi, diffusamente accettata, secondo la quale la modernizzazione socio-economica porta con sé anche la modernizzazione politica (caratterizzata dalla razionalizzazione dell'autorità, e dalla differenziazione delle strutture). I molti casi che Huntington cita mostrano che la modernizzazione socio-economica è, in realtà, un forte pericolo di instabilità e di decadenza politica. Nei Paesi analizzati, i cambiamenti radicali che la modernizzazione porta con sé (l'aumento demografico, la mobilità verticale e orizzontale, la divisione del lavoro, l'aumento e la diversificazione della produzione) avvengono con un ritmo talmente rapido, da mettere a rischio la stabilità delle istituzioni politiche. Tanto più rapida si manifesta la modernizzazione socio-economica, tanto più essa è un rischio per le istituzioni politiche. La modernizzazione socio-economica infatti mobilita le persone dalla campagna alla città, sgretola le antiche corporazioni, crea nuove professioni e una nuova struttura sociale, nuovi simboli di identificazione, e, soprattutto, nuove aspettative. Le persone ora chiedono di più, hanno aspettative più esigenti e diversificate. E le aspettative frustrate creano una nuova domanda di partecipazione politica, che aumenta sempre più rapidamente. Le istituzioni che non sono in grado di assorbire la domanda di partecipazione, l'urto delle persone che vogliono entrare nel sistema, sono istituzioni rigide, non flessibili, deboli, incapaci di reggere alla sfida della modernizzazione. In Europa e in Usa la modernizzazione socio-economica ha avuto ritmi ben più lenti rispetto ai Paesi di cui Huntington si occupa; e una tale caratteristica ha permesso alle istituzioni europee e americane di svilupparsi con maggiore agio e più possibilità di affrontare positivamente i pericoli che la modernizzazione porta con sé.
Nei Paesi, invece, dell'America latina, dell'Asia, dell'Africa, i molti cambiamenti della modernizzazione avvengono simultaneamente, e con straordinaria rapidità, perché spesso importati, o forzatamente trapiantati, iniettati, dall'esterno, dalle potenze straniere. Per questi motivi lo studio di Huntington, concentrandosi essenzialmente su questi Paesi in cui il caos politico è sempre in agguato a causa della rapidità delle trasformazioni della modernità, è una critica esplicita alla politica estera statunitense dell'epoca, mossa dalla tesi secondo la quale gli aiuti economici, l'esportazione o l'imposizione (più o meno consensuale) della modernizzazione socio-economica, del progresso nell'economia e nella società, sono necessariamente forieri di modernizzazione politica e stabilità. C'è certamente un nesso tra modernizzazione socio-economica e modernizzazione politica, sostiene Huntington: i Paesi che si modernizzano possono raccogliere e affrontare positivamente la sfida della modernizzazione, e diventare regimi stabili, in cui le istituzioni sono efficaci. Ma tale nesso non è costituito da una connessione causale necessaria: le due variabili, in realtà, sono indipendenti.
In questo complesso percorso politico che i Paesi in via di modernizzazione si trovano affrontare, quali saranno allora gli attori sociali più rilevanti, le vie più efficaci per raggiungere il fine della costruzione di istituzioni forti e regimi stabili? Sarà forse possibile affidarsi a colpi di stato militari, capaci di ristabilire l'ordine, per un certo periodo di tempo, o forse sarà percorribile la difficilissima via delle riforme strutturali, che dovranno affrontare l'opposizione di molteplici gruppi di nemici. Sarà discriminante il conflitto tra città e campagna, e la capacità di organizzare il partito politico, e, infine, in una situazione ormai compromessa, quando il livello di partecipazione politica è di massa, l'unica via, ammonisce Huntington, è quella spettrale e sanguinosa della rivoluzione.