Giorgio Bassani
Il giardino dei Finzi-Contini
I ed. 1962
Oscar Mondadori
con introduzione di Eugenio Montale
pagg. 241
Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire su quello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto.
I promessi Sposi, cap. VIII
Con questa epigrafe si apre il romanzo di Bassani, dopo aver indotto il lettore al peccato veniale di saltare per forza di cose un'introduzione (anche se di un premio Nobel) mai apprezzabile a pieno senza aver scorso anche distrattamente le pagine del testo seguente. In ogni caso, la citazione manzoniana calza a pennello, poiché la narrazione che s'incontra non appena voltata la pagina è un qualcosa di intimo e memorialistico, lontano dalle logiche pseudo-oggettive della terza persona, ma nella più totale soggettività della prima persona del protagonista, anonimo, con un angusto punto di vista mai onnisciente ma al limite omnicongetturante. Ma che sa il cuore? Sia qui suggellato quel poco che il cuore ha saputo ricordare. E' Bassani.
Il tutto si apre con uno squarcio sulle antiche rovine etrusche a Cerveteri, piccolo preambolo con capo ma senza fine con cui B. (così chiama Montale il protagonista) a distanza di parecchi anni rievoca avvenimenti della sua infanzia, adolescenza e prima maturità. In un fuoco dell'orbita ellittica descritta da B. nel tempo e nello spazio del romanzo, prende posto Micòl Finzi-Contini, discendente diretta di Laura e Beatrice. Donna angelicata, più che angelo, la quale nega il suo amore a B., pur confessando di aver preso per lui in passato uno striscio, una cotta. Niente di più. La differenza sostanziale con le sue ave deliziose e mitizzate sta qui: Micòl Finzi-Contini è una creatura prosastica, dotata di lingua ed abile nell'usarla, una donna che gioca a tennis e ansima e suda, arrossisce. Estremamente tangibile, al punto da subire i baci del protagonista e sopportare le avances di un amore ben poco platonico ma anche di respingerle e allontanarlo quando ormai si è andati oltre.
L'altro fuoco dell'orbita a cui si accennava poco fa' è l'istituzione Finzi-continica che aleggia nelle strade di una Ferrara mitemente addomesticata al fascismo (cfr.: Hannah Arendt, La banalità del male), la sua fisicità maestosa espressa dalla loro villa e l'intero giardino/parco immensamente esteso. Bassani non ha troppe pretese storiche, non gli interessa raccontare di guerra o di rievocare un mitico passato in cui si stava meglio quando si stava peggio, niente di tutto ciò, pur avendo posto al centro della vicenda dei personaggi di stirpe ebraica. Piuttosto è come se fosse tutto un diario non scritto per tempo, una bottiglia di spumante stappata dopo la data di scadenza, uno sfogo trattenuto in corpo oltre il consentito che, seppur in ritardo, ha soddisfatto la necessità di riportare alla luce il proprio passato. Un passato richiamato alla memoria non senza una punta di acre nostalgia, che tende ad avvolgersi su se stesso, in una specie di spirale, scandita da occasioni presentatesi e non sfruttate, perse per sempre, l'una anticipazione dell'altra. Fino ad ora gli elementi ci sono tutti: un amore non corrisposto, una guerra, il fascismo, la vita difficile degli ebrei sotto Mussolini... Perché l'ha pubblicato prima la Einaudi, poi la Mondadori e non tra gli Harmony? Il giardino è un libro alla moda, basta sfogliare un po' l'anagrafe e vedere a quante bambine è stato messo il nome di Micòl dal '62 ad oggi. Subire una lettura harmony è uno degli inevitabili rischi che si corrono a scrivere un romanzo del genere, ma meno male che c'è la famosa introduzione montaliana:
Supponevamo, noi lettori per obbligo, di aver tra le mani un libro, un oggetto del tutto degno delle esigenze del "mercato", e ci siamo accorti invece che l'oggetto era alquanto diverso e più preoccupante del previsto; e che, anzi, non era neppure un oggetto. Credete proprio che un incontro simile, ai tempi che corrono, sia frequente?
Chi si occupa più dei borghesi in Italia? Probabilmente nessuno. Uomini e donne della borghesia s'incontrano in libri pieni di pornografia e di dolce vita, opere di scrittori che pretendono di decapitare la classe da cui sono usciti mentre ne rappresentano l'espressione più disastrosa. Ed è tutto.
Andando a fondo, si dirà che è un romanzo ben studiato, alla moda sì, ma guai a leggerlo come un Harmony. Estremamente misurato e ragionato, dà adito anche a possibili letture semiotiche (cfr. l'orbita ellittica e la spirale prima citate). Dai ritmi sapientemente dosati tra attese estenuanti e inquiete risoluzioni. Ricco di turbamenti, di seghe mentali. Bassani fa un uso "criminoso" della prima persona, come tra l'altro è giusto che sia; questa è la sua forza. E' elusivo: il lettore muore dalla voglia di conoscere la verità, non la "sua" verità, non quel poco che il cuore sa. Ma è tutto quello che Bassani ci può dire e in fin dei conti, masochisticamente, è quel che piace.
Adriano Morea
Adriano Morea
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