di Dario Fo
Einaudi, 1977
Mistero Buffo è comunemente considerato il capolavoro della produzione di Dario Fo, apprezzato all’unanimità per le sue doti di attore ma talvolta meno riconosciuto come drammaturgo. L’originalità dell’operazione di Fo sta nell’aver attinto agli strati più profondi della tradizione popolare rivitalizzandola e attualizzandola mediante riferimenti alla realtà contemporanea. I misteri medievali, le sacre rappresentazioni, diventano occasioni per recuperare la cultura degli oppressi, delle classi subalterne, sotto l’urgenza prepotente di lanciare un messaggio ideologico: il riso e il comico sono l’unico strumento contro l’oppressione dei potenti. Non è casuale la scelta delle fonti che non sono quelle canoniche, bensì vangeli apocrifi e testi popolari.
L’aggettivo “buffo” deriva dal fatto che i tradizionali episodi della storia sacra vengono riletti in chiave dissacrante, da una prospettiva e da un’angolatura decisamente “basse”, popolari. L’idea di un attore unico che recita e ha sviluppato una forte espressione mimica e gestuale rimanda alle figure dei giullari medievali, attori “completi” che incarnavano pienamente il senso di una cultura e di un mondo in cui, periodicamente, l’artista dava fastidio al potente smascherando in piazza le sue malefatte. L’idea di una satira che fa paura ai dominanti, per questo oggi perduta.
La scrittura di Dario Fo è una scrittura scenica più che letteraria, questo fa sì che leggere “Mistero Buffo” porti inevitabilmente alla voglia di vederlo rappresentato. Ne viene fuori una rappresentazione irriverente, che si nutre del contatto diretto con lo spettatore e con il mondo circostante. L’abbattimento della cosiddetta “quarta parete” teatrale si traduce in abbattimento di tutte quelle barriere e dei vincoli sociali che impediscono di portare sulla scena la storia dei poveri, degli emarginati e delle loro ataviche privazioni (si veda l’episodio della Fame dello Zanni).
Linguisticamente, è ben noto, Fo ha portato avanti una rivoluzione espressiva che trae linfa da equivalenti letterari di tutto rispetto: Jacopone da Todi, Teofilo Folengo, Ruzante, i giullari, i comici dell’Arte. Oltre al recupero e alla commistione di parlate e dialetti padani, Fo si è spinto oltre con la creazione di un nuovo linguaggio: il grammelot (anch’esso risalente alla tradizione della Commedia dell’Arte, e in parte legato anche all’esigenza di sfuggire alle censure), fortemente basato sulla gestualità e sull’utilizzo delle onomatopee. I grammelot imitano in maniera “espressionistica” le parlate reali senza esserlo effettivamente, ma solo mediante l’uso di certi termini chiave che ritornano. Dalla carnalità quasi disumana di certi brani al lirismo con il quale dà voce al dolore di Maria nel giorno della Passione, Fo fa sfoggio di una serie molto varia di registri che gli permettono di rileggere gli episodi della storia religiosa in chiave nuova.
Inoltre ha avuto il merito di riportare in auge l’arte del monologo, che in lui si sviluppa in stretto intreccio con la satira sociale, e che tanta fortuna ha avuto nel teatro contemporaneo successivo.
Leggendo ”Mistero Buffo”, il lettore ha come l’impressione – ahimè amara – che quel teatro, quella scena nascano in relazione a un mondo sociale e culturale che oggi non c’è più. Nella lotta dei giullari ai soprusi dei signori sta racchiuso il senso della lotta eterna della povera gente contro la violenza (si veda l’episodio della Nascita del Giullare), la denuncia di tutte le ingiustizie, anche quelle odierne.
La mancanza di sintonia con un certo clima politico e sociale ha decretato inevitabilmente l’allontanamento (parziale) dalle scene da parte di Fo e della moglie Franca Rame, i quali hanno consapevolmente scelto, sin dagli anni ’60, di abbandonare i tradizionali circuiti di distribuzione teatrale per indirizzare le loro commedie ad un pubblico più ampio e non semplicemente a quello dei classici teatri stabili borghesi. Indipendentemente da questa perdita di aderenza al clima culturale, già una semplice lettura dell’opera dà interamente l’idea della rivoluzione portata avanti da questo virtuoso fool contemporaneo a cui l’Accademia di Svezia ha deciso di conferire il Nobel nel 1997, usando queste parole:
Il Premio Nobel per la Letteratura viene assegnato a Dario Fo perché, insieme a Franca Rame, attrice e scrittrice, mella tradizione dei giullari medievali dileggia il potere e restituisce dignità agli oppressi.
Al di là delle polemiche scatenate dall’assegnazione del premio (basate sulla divergenza tra la figura di teatrante-attore e quella di autore), il valore letterario di Mistero Buffo resta indiscusso e la questione perderebbe di per sé senso se non si considerassero più i testi teatrali come qualcosa di altro rispetto alla letteratura comunemente intesa o, come avviene spesso, dei testi “mancanti” che trovano interezza solo con la rappresentazione.
Claudia Consoli