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Il Salotto: intervista a Emanuele Podestà

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Silvia Surano ha incontrato per voi l'autore de "La Sindrome di Bob Dylan"


Sono felicissima di intervistare Emanuele Podestà, giovane e spregiudicato scrittore che mi ha regalato una delle letture più interessanti di questo periodo.

D.: Benvenuto nel nostro Salotto Emanuele e grazie mille per aver accettato di tenerci compagnia!
 
R.: Grazie a te, Silvia. Un salotto che è anche l’habitat preferito da HabanerO: Internet, la rete. Il web è l’unico tra i medium, ormai, forse per la vastità, forse per la relativa gioventù che ne fruisce, a garantire un po’ di visibilità al mondo underground ed indie. Giornali, televisioni, radio, riviste, tutto in mano alla gerontocrazia. Non ci resta che internet e, per fortuna, il lavorare sul campo, sporcarsi le mani.

D.: Abbiamo da poco recensito, con grande entusiasmo, il tuo libro. Prima di entrare nel merito della trama, spiegaci le scelte estetiche: copertina, impaginazione, uso dei caratteri diversi… mi hanno colpita molto!


R.: Sono un iper-modernista. Se si ha un messaggio, ogni linguaggio, provocatoriamente, va bene: lettera, simbolo, ideogramma, immagine. Pochissimi l’hanno capito, ma “La Sindrome di Bob Dylan” è disseminato di anagrammi e di giochi di parole, oltre che di enigmi. In questo modo va scrutata la copertina (è semplicemente una foto, una foto che però riproduce tutto quello che si deve sapere di un libro). Credo che sia l’ora di smettere di nasconderci dietro costrutti grammaticali o, per chi fa poesia, versetti da poetucoli con rime baciate in terzine dantesche. L’ordine va infranto, lo scrittore deve essere delinquente e bombarolo, per fare ciò bisogna restituire vera importanza all’autore, alla sua scelta estetica, al suo gesto eroico. E per fare ciò ci vuole sincerità: sarebbe bello se in Italia ci fosse gente più sincera.

D.: Da dove è venuta l’idea di creare l’Iconoclasta? Volevi solo stupire o c’è qualche significato dietro questa scelta?

R: Più che stupire, volevo riportare la situazione sugli standard accettabili. L’Iconoclasta uccide uno scrittore alla moda all’anno. In realtà l’Iconoclasta uccide tutti gli scrittori alla moda, sia quelli bravi (il Wu Ming, ad esempio, collettivo che stimo), sia quelli che reputo superflui e pleonastici, financo dannosi (Alessandro Baricco). Questo perché la vera vittima dell’Iconoclasta non sono gli scrittori. È la sporca, disillusa , bagascevole editoria italiana. Per uccidere lei, l’Iconoclasta parte dalla sua fonte di sostentamento: gli scrittori. Purtroppo gli editori spesso si dimenticano degli scrittori. 

D.: Toglimi una curiosità: perché Moccia no? Insomma...credo che ci sia rimasto male!


R.: Speriamo! E con quest’augurio che mi/ci faccio credo anche di averti risposto! 


D.: Quanto c’è di te in questo libro? Qual è il confine tra realtà e finzione, tra te ed il protagonista?


R.: A volte ho dei problemi a capire questo confine anche nella vita di tutti i giorni, figurati quando scrivo. A questa domanda non so rispondere, so però che non è tutta realtà (ovviamente), non è tutta fiction (per fortuna). Di vero, senz’altro, c’è il mio nome in copertina, poi non so proprio.

D.: La musica. Raccontaci cos’è la musica per te e che ruolo ha nella storia e nella tua vita.


R.: Importante. "La Sindrome di Bob Dylan" reca una sorta di colonna sonora nelle prime pagine, una serie di canzoni da ascoltare durante la lettura. La musica è importante per un libro quanto lo è per un film, senza musica cade tutto. La necessità di ascoltare musica si è palesata durante la stesura ed è diventato un obbligo riportarla quando ho deciso che questo strano romanzo su viaggi nel tempo, amori, amici, "baricchi" morti, si sarebbe ispirato a La Jetée di Chris Marker, un mediometraggio del 62.
 
D.: Andreea Sperelli. Chi l’ha uccisa? Ci sveli il segreto?

R.: Mai. Posso dirti che “La Sindrome di Bob Dylan” è il primo romanzo ad avere un ultimo capitolo solo su richiesta e, per giunta, via mail. È un'altra provocazione nell’ambito del linguaggio, il metaromanzo. Mi diverto a ricevere le mail di chi mi chiede l’ultimo capitolo, spesso alla seconda cedo e mando il finale. 

D.: Parlaci di Habanero. Che cos’è questo progetto?


R.: HabanerO è un gruppo di lavoro gestito da giovani under25 e sito a Genova che si propone di scovare talenti nel mondo della narrativa contemporanea ed underground, trovando poi per questi contratti con case editrici che possano investire e credere in loro attraverso una distribuzione nazionale e ufficio stampa. Contestualmente al mio romanzo (maggio 2010) sono usciti per HabanerO altri due libri e tra settembre e dicembre 2010 altre otto pubblicazioni saranno in libreria. Con queste, nel 2010 HabanerO avrà fatto esordire o pubblicare 25 scrittori giovani. HabanerO è anche musica, socialità, eventi, vita.

D.: Da ultimo. Hai sterminato un po’ di gente! Se l’Iconoclasta avesse altro tempo a disposizione, chi ucciderebbe, chi salverebbe e chi non prenderebbe nemmeno in considerazione?

R.: Confido di trovare l'Iconoclasta, un giorno, finita la sua mattanza per varie faune e disturbata umanità, in qualche isolotto televisivo o tribuna opinionistica. A quel punto penso che l'Iconoclasta ricorrerà, sarà inevitabile, al harakiri.

Credo che questa intervista sia "strana" come "strano" è il tuo romanzo! Proprio per questo ti ringrazio ancora personalmente e a nome di tutta Critica Letteraria. 
Speriamo di ospitare a breve qualche altro tuo lavoro. A presto!