Pavia (Aula Magna dell'Università), 28 ottobre 2010 - h. 17.30
"A cuore aperto. Dal momento della sofferenza al tempo della memoria"
Presentazione di Marco Galandra.
Lettura di Zelinda Gasparini.
Nella cornice ufficiale e maestosa dell'Aula Magna, lo scorso giovedì Gianfranca Lavezzi, docente di Letteratura italiana presso l'ateneo pavese, ha incontrato una delle voci più autorevoli della scrittura italiana: l'ottantottenne partenopeo Raffaele La Capria. Con questo appuntamento d'eccezione è stata così aperta la nona edizione della rassegna culturale "Quattro chiacchiere con...", organizzata annualmente dalla Biblioteca Civica C. Bonetta di Pavia.
Dopo una breve introduzione di Marco Galandra, Assessore delle Biblioteche Civiche del Comune di Pavia, si è presto entrati nel vivo dell'evento, con un'esaustiva e brillante presentazione bio-bibliografica dell'autore da parte di Gianfranca Lavezzi. Sono stanti rievocati il trasferimento nel 1932 nel palazzo secentesco Donna Anna a pochi passi dal mare campano, dove sono nate tante suggestioni; la laurea in giurisprudenza; il successivo spostamento a Roma (1950) per il lavoro di sceneggiatore per la RAI; infine, la vittoria del Premio Campiello alla carriera e del Premio Chiara (sempre alla carriera) rispettivamente nel 2001 e nel 2002.
Si è poi parlato dell'opera di La Capria, che si può considerare come un work in progress, un esordio continuo e un ripensamento incessante di quanto scritto, come se a ogni romanzo lo scrittore ricominciasse daccapo. Si pensi ai Tre romanzi di una giornata, raccolti nel 1982, in cui ogni storia affronta il tema di un'identità che si sfalda, senza che si compia una vera e propria narrazione in senso tradizionale. O ancora, nel 1979 sono usciti i brevissimi racconti dei Fiori giapponesi, opera delicata e originale che si colloca in un anno memorabile per la sperimentazione letteraria italiana (si pensi a Se una notte d'inverno un viaggiatore di Calvino e a Centuria di Manganelli).
Si è anche citato l'acclamato La neve del Vesuvio, definito dall'autore «il mio libro più autobiografico», che risente dell'ammirazione di La Capria per Parise.
Una carrellata rapida ma puntuale, tra citazioni di interviste e di brani dei libri di La Capria, ha portato alle esperienze più recenti, tra cui ricordo almeno L'amorosa inchiesta (2006) e la favola Colapesce (2008).
S'è giunti così a parlare del libro presentato nell'evento, A cuore aperto, pubblicato nel 2009 per la torinese Einaudi. Il titolo rimanda a un duplice significato: da un lato, si riferisce all'operazione di cuore subita da La Capria ottantatreenne; dall'altro, allude a uno stile di scrittura senza diaframmi tra la pagina e il lettore. Quest'opera autobiografica (come tutti i libri dell'autore) può essere riassunta con la volontà di raccontare «una bella giornata strappata al maltempo», raccontando senza cupezza della morte, e mescolando l'ossimorico binomio di leggerezza e profondità di calviniana memoria (l'autore si raccomanda spesso: «sii profondamente superficiale»). Di questo La Capria parla nel suo Lo stile dell'anatra (2001): il nuoto dell'anatra è apparentemente facile, visto dall'esterno, ma sottacqua le zampe fanno una grande fatica; allo stesso modo, lo scrittore deve compere una grande fatica, da tenersi sempre celata. Non senza polemica, La Capria ha rilevato come invece in molti scrittori contemporanei si noti soprattutto la fatica.
Dopo la lettura di un'estratto del libro, ad opera di una commossa Zelinda Gasparini (donatrice di voce A.DO.V), la parola è quindi passata all'autore, che ha subito ringraziato, con una galanteria ormai infrequente, Gianfranca Lavezzi e Zelinda Gasparini per aver saputo capire e leggere correttamente la sua opera. E così ha avuto inizio una lunga e appassionata ora di monologo dell'autore, che ha parlato liberamente (solo pochi appunti su foglietti volanti) della propria opera e, in particolare, della sua concezione di scrittore. Lontano dai concettualismi degradati di massa, come ha più volte ripetuto La Capria, lo scrittore deve anzitutto far partire il proprio racconto da un'emozione vissuta; tuttavia, occorre scrivere a mente fredda, quando l'emozione è ormai passata e la si può fingere sulla carta, permettendo così ai lettori di riviverla, secondo un'idea comune a tanti, tra cui Pessoa. Così potremmo riassumere l'obiettivo di tutti i suoi libri nel desiderio di trasmettere un'emozione.
Inoltre, La Capria ha anche confermato la profonda ispirazione autobiografica che muove tutte le sue opere, a cominciare da un tema-chiave ricorrente: è il mito della bella giornata, intesa come una promessa di felicità garantita dal geroglifico di luce che si proiettava nelle mattine assolate sul muro della sua camera da bambino. Così i romanzi vivono spesso di ricordi, ma nascono anche da una logica elementare e da un movimento d'idee: non ci sono veri e propri personaggi, né fatti eclatanti, ma un compiaciuto e inevitabile «parlare di sé parlando d'altro», lasciando i pensieri a sciogliersi sulla carta, anche sfuggendo all'attenzione del raziocigno, dal momento che «un vero libro in certi momenti si scrive da solo».
Gloria M. Ghioni
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