di Knut Hamsun
Adelphi, 2002
9,00 €
Ne Il tropico del Cancro, citando Emerson, Miller diceva che se la vita è fatta di ciò che l’uomo pensa tutto il giorno allora la sua vita era un intestino dato che lui era ossessionato dal cibo. E bene o male tutti sappiamo come passavano le giornate di Henry Miller, americano a Parigi negli anni ’20.
Fame e scrittura. Il romanzo di una vita, un’opera, un pezzo per un giornale che faccia guadagnare qualche spicciolo. Con Knut Hamsun non siamo a Parigi ma a Kristiania (oggi Oslo) e non siamo negli anni ’20 ma negli anni ’80 dell’800. Hamsun è nato nel 1859, figlio di artigiano, insofferente alle costrizioni e agli obblighi, a 14 anni inizia una vita fatta di lavori manuali e saltuari fino alla passione letteraria. Negli anni in cui, ventenne e senza soldi, vive a Kristiania e matura le esperienze narrate in Fame (1890), romanzo che gli darà una discreta celebrità e che insieme a Pan e Il risveglio della terra gli varranno il Nobel nel 1920.
All’inizio sembrano quasi degli appunti quotidiani di un vagabondo ostile alla società, ma poi si rivela un romanzo ben più vasto: deliri per la mancanza di cibo, la ricerca di soldi, il desiderio di scrivere qualcosa che possa essere pubblicato e che valga dieci corone, sentimenti e amore. Se all’inizio la fame è disciplina perché gli causa un senso di distacco e solitudine felice, arriverà ad assillarlo fino al punto di mordersi ferocemente un dito.
Il personaggio Hamsun, che narra le sue vicende in prima persona, si prende gioco degli altri – come la vicenda col vigile nel parco - e nello stesso tempo è vittima delle ingiustizie altrui che lo fanno sentire ancora più un emarginato e questa condizione e la fame lo tormentano.
È un uomo solo che spesso parla con Dio, che ama quando benevolmente gli manda l’ispirazione per scrivere e che bestemmia quando tutto sembra che vada in malora. Il suo vagabondare e la sua povertà non hanno nulla di romantico perché riducendosi in quella maniera ha “cosparso” la sua “anima di vergogna”. Infatti l’arte dello scrivere, le idee, i pensieri, per Hamsun nascono da un’ispirazione trascendentale quasi stregonesca come se uno spirito si impossessasse di lui e lo faccia scrivere: uno spirito che ha bisogno di strane evocazioni come scrivere decine e decine di volte 1848 su un foglio di carta (attività che però gli farà perdere un posto di lavoro).
Il suo non è quindi un modo di narrare realista, né reale e materiale è il suo mondo, ma poetico e vivo di forze nascoste, imprevedibili, spesso divine e comunque difficili da controllare. Si capisce allora come Hamsun, che con le prime disponibilità economiche sceglierà non la vita mondana dei salotti ma la vita di fattoria (“non per far poesia”), disprezzi l’America e la cultura materialista e capitalista (tenere conferenze su autori scandinavi negli USA gli aveva dato modo di avvicinare la cultura americana e di scriverne come corrispondente) una cultura che non riesce a far sua, tanto da sentire più vicina la cultura contemporanea tedesca e poi la politica nazista.
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