Adelphi, 2007 (3a ed.)
pp. 245, 11,00 €
Alberto Arbasino è stato tra i protagonisti di quella che è stata chiamata "Neoavanguardia" e del "Gruppo 63", uno degli ultimi tentativi in Italia di introdurre novità da un punto di vista letterario. La Neoavanguarda, ed Arbasino con loro, si collegava alla lezione del filosofo Herbert Marcuse, ritenendo che la società industriale (o, per meglio dire, quello che una volta veniva definito "Neocapitalismo") avesse integrato ormai ogni opposizione politica, e perciò l'unico spazio di contestazione rimasto fosse quello linguistico e letterario.
Per questo le opere degli autori della Neoavanguardia, collegandosi alla lezione del Surrealismo e del Dadaismo, prediligevano il montaggio, il gioco e il nonsense e, opponendosi radicalmente a tutta l'esperienza post-ermetica e neorealistica degli anni cinquanta, fornivano l'immagine di una realtà «schizomorfa» (per utilizzare le parole di Giuliani), non più filtrata attraverso la prospettiva del soggetto e priva di qualunque messaggio sociale, politico o morale:
D'ora in poi [l'arte contemporanea] avrà due domini separati di discorso, quello in cui si svolge una comunicazione circa i fatti dell'uomo e i suoi rapporti [...] e quello in cui l'opera svolgerà al livello delle strutture tecniche un discorso assolutamente formale. (U. Eco, L'opera aperta)
E' in questa temperie culturale che Alberto Arbasino nasce e si forma come narratore. Il libro che presentiamo in questa sede è il primo libro pubblicato da un esordiente Arbasino di 25 anni, che pur se profondamente diverso (la perdita del soggetto come voce narrante non è ancora presente in questi racconti) dai libri più maturi come L'anonimo lombardo, Super-Eliogabalo o Fratelli d'Italia, se ne intravedono in nuce le potienzialità soprattutto da un punto di vista linguistico e stilistico. Di particolare interesse, che visti con gli occhi del lettore di oggi hanno un sapore quasi comico e parodistico sono terminologie come pomiciare e ganzo, frescone e piscuano e che illustrano nel migliore dei modi non solo il clima culturale della fine degli anni cinquanta ma anche la sua "lingua".
I racconti hanno come elemento comune la vacanza tra Forte dei Marmi e la Costa Azzurra, raccontando la famiglia piccolo borghese della provincia italiana, con i nuclei familiari innumerevoli, i pettegolezzi e le maldicenze di paese, il matrimonio da raggiungere, l'omosessualità da nascondere, il mito dell'Aurelia Lancia.
Un libro, apparso a 50 anni di distanza dalla sua prima pubblicazione, che appare oggi più che mai attuale perché, al di là delle sue intenzioni, racconta un'Italia che non c'è più e riesce a farci comprendere, le radici culturali e sociali del nostro Paese, la sua visione del mondo, cosa e come pensano i suoi cittadini.
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