di Grazia Deledda
in Romanzi, vol. 1, a cura di Silvia Lutzoni, con una prefazione di Massimo Onofri (Nuoro, Il Maestrale, 2010)
€ 12,90Ci sono libri che portano con sé, anche a distanza di anni, sapori, odori e suoni di una terra. Altri riescono a testimoniare anche le psicologie complesse degli abitanti di quella terra, e in questo sfibrano il limite spaziotemporale per rasentare l'atemporalità del mito. Così è toccato a Elias Portolu, romanzo che ha consacrato Grazia Deledda al grande pubblico e alla critica deleddiana. Il romanzo, uscito a puntate sulla «Nuova Antologia» nel 1900 e in volume nel 1903 (Roux e Viarengo, Torino), si colloca all'inizio della vita romana della scrittrice, e segna anche una svolta a livello stilistico-strutturale. Vi si legge già, infatti, l'equilibrio della grande scrittrice, che vincerà il Nobel per la Letteratura nel 1926, tra plausi e polemiche.
La storia, di per sé, è esilissima e facilmente riassumibile: il protagonista che dà il titolo al romanzo rientra al suo paese nel nuorese, dopo un periodo in prigione; qui, la calma tanto agognata è sovvertita bruscamente dalla conoscenza di Maddalena, promessa sposa del fratello Pietro. Nonostante le tante ritrosie e i consigli dei saggi zio Martinu e del prete Porcheddu, tra Elias e Maddalena scoppia l'amore, vissuto in pagine di travolgente passione, come nella Lupa verghiana. I sensi di colpa e il timore di provocare lo scandalo portano Elias a sacrificare il proprio futuro con Maddalena e a pensare al sacerdozio, unica via di fuga a un sentimento terrigno e tanto insostenibile. La notizia della gravidanza di Maddalena non basta a fermare Elias, per quanto l'uomo sia roso dai dubbi. Varie complicazioni conducono poi a un finale amaro, disperato e senza scampo per il protagonista.
Come Barbara Pasqualetto sottolinea nell'Introduzione alla nostra edizione, di primo acchito si potrebbe pensare a un libro che vive di dicotomie nette: peccato/purezza, umano/divino, matrimonio/tradimento, bianco/nero (bianca la pelle di Elias, rinchiuso per tanto tempo in cella; nera quella dei compaesani) fino al più radicale bivio di vita/morte. Allo stesso modo, sembrerebbe scontato ricondurre il carattere seduttivo di Maddalena al suo nome biblicamente famoso; come scontato fin dal primo incontro tra i due si preannuncia la passione amorosa; e scontato pure il finale negativo, che risponde alla dinamica ancora ottocentesca di espiazione della colpa. Eppure... Eppure tanto non si scopre senza una lettura attenta, che sfronda l'apparente chiarezza del linguaggio sempre connotativo, senza sbuffi né orpelli. Così, ad esempio, Pasqualetto evidenzia come la storia si evolva con il ciclo delle stagioni e della campagna, e la passione emerga solo con la festa carnacialesca. O ancora, l'incipit
è totalmente contraddetto dal finale, in una parabola discendente che non lascia spazio alla speranza.Giorni lieti s'avvicinavano per la famiglia Portolu, di Nuoro.
E tanto dicono i personaggi, al di là dei pochi ritratti psicologici, all'interno di monologhi interiori e dei loro pensieri, offerti continuamente in presa-diretta. Elias, il cui ritorno è salutato con fierezza dalla famiglia, porta con l'esperienza della prigione una tristezza che i familiari difficilmente sanno interpretare. La sua commozione per la tanca e per l'ovile, per le pianure e per la sua Sardegna, è accantonata dalla passione bruciante e immediata per Maddalena:
Egli entrò e chiuse l'uscio: ed ella, che avrebbe potuto gridare e salvarsi, tacque e non si mosse.
Tuttavia, Elias è sostanzialmente un inetto: cerca di sfuggire agli sguardi innamorati di Maddalena, corteggia un'altra ragazza, trascorre lunghi periodi in solitudine nel pascolo con le bestie e si nega continuamente per non "cadere in tentazione" (frase che torna frequentemente nel romanzo). Se qualcosa accade tra i due ragazzi, è solo perché il Carnevale concede qualunque cosa, con la sua atmosfera gioiosa e i piaceri della danza, che prevede e prepara una vicinanza fisica. Potremmo chiosare che Elias è vinto da Maddalena, vinto dalla passione e, come si scoprirà in seguito, vinto dal destino. Si vedano a tal proposito le parole che zio Martinu pronuncia profeticamente al primo accenno di intesa tra Elias e Maddalena:
- [...] Come dice tuo padre, tu non sei un uomo, sei un fuscello, una canna che si piega al primo urto di vento. Ecco che perché sei innamorato di una donna che non puoi possedere, che non hai voluto possedere, ecco che vuoi diventare un cattivo sacercote, mentre potresti essere un uomo abile al bene. Aquile, bisogna essere, non tordi, Elias: ha ragione padre tuo!
Sia detto en passent: al lettore deleddiano non saranno sfuggite le metafore attinte dal mondo naturale (si noti la "canna che si piega al primo urto di vento", che anticipa il famoso Canne al vento), all'interno di un discorso che tradisce le caratteristiche del parlato (da formule di raccordo come "ecco" all'incalzante ripetizione del "che" in correctio; la dislocazione a sinistra di "Aquile"; l'ordine frasale alterato con il soggetto postposto al verbo).
A tutti gli effetti, Elias soffre e si tormenta senza mai lottare davvero per affermarsi: sorte e sortilegio dominano sovrani, tra proverbi popolari, dicerie, scongiuri e maledizioni. La tentazione è ricondotta alla forza del demonio, quindi da sconfiggere ad ogni costo; neanche la gravidanza di Maddalena o la vista del piccolo Berte cambiano Elias. Ma il proposito di "rinunciare a Satana" è in realtà molto debole: Elias è disposto a trovare facili giustificazioni per qualunque passo falso, a eludere le proprie promesse e a tornare sui suoi passi. Emerge, dunque, tutta la fragilità di Elias, personaggio senza evoluzione all'interno del romanzo, tormentato e soprattutto disgregato interiormente. Ma si intravede anche la crepa presente nel mondo della Chiesa (si veda la figura di padre Porcheddu, di cui si sottolinea la bontà ma anche il suo essere "uomo di mondo"), mentre non è attaccata la spiritualità, con cui si chiude il romanzo.
Per i grigioscuri e per l'alterità del mondo narrato, Elias Portolu è un classico novecentesco da riscoprire in questi anni. Al profumo di erbe selvatiche sarde, fa da contraltare Elias, personaggio scisso e franto che sa tanto di contemporaneità.
Gloria M. Ghioni