di Viktor Nekrasov
Einaudi, Torino 1974
Traduzione di Claudio Masetti
1^ edizione originale: 1961
€ 6.20
Victor Nekrasov è uno di quei scrittori conosciuti soltanto da chi, forse un po’ follemente, decide di “abbandonare” ai libri la propria vita; ovvero, è uno scrittore pressoché sconosciuto. Dei suoi testi, infatti, non c’è traccia tra gli scaffali delle librerie più importanti (capita spesso ai prodotti geniali, purtroppo). Eppure, “Kira Geòrgievna”, probabilmente il suo capolavoro, dovrebbe avere uno scaffale a sé. Perché? Semplice: è il romanzo dell’amore e dell’arte, e della loro identità. Quando un romanzo tratta temi così delicati, ha sì il diritto di essere ricordato. Qui, eccone un tentativo.
Viktor Nekrasov nasce nel 1911 a Kiev. Nel ’36 si laurea in architettura. Presta servizio, durante la Seconda Guerra Mondiale, presso l’armata Rossa, dove combatte, tra il ’42 e il ’43, nella battaglia di Stalingrado; tale esperienza, gli ispira il suo primo libro: “Le trincee di Stalingrado”. Alla fine della guerra, si dedica attivamente alla scrittura, collaborando con alcuni quotidiani. Il 1954 è l’anno in cui pubblica “Nella città natale”, che lo rende celebre in Europa. Viaggia in Italia e negli Stati Uniti; nel 1961, dà alla luce “Kira Geòrgievna”, un romanzo breve, all’apparenza semplice, ma che cela al suo interno le idee artistiche, etiche, sentimentali e politiche dell’autore.
«Dopo il terzo o quarto bicchierino si cominciò a discutere d’arte; e la discussione toccò diversi argomenti, finché venne a fissarsi su questo: se possa realmente considerarsi opera d’arte un romanzo o un racconto non pubblicato. Le opinioni erano nettamente divise; chi diceva di sì, chi di no; e ognuno parlava molto convincentemente in sostegno della propria tesi. Ma la più convincente di tutti -o almeno, così le sembrava- era Kira Geòrgievna. Non era lo stesso che un racconto uscisse a stampa o restasse, scritto a mano, in un quaderno da scolaro? C’era, era comparso, era nato, e tanto bastava! Quanta gente poi lo leggesse, non aveva importanza. Poteva anche avere un lettore solo, e quest’uno poteva essere l’autore stesso! L’importante era che fosse stato scritto». (pag. 7)
Chi si occupa di scrittura, sa bene cosa vogliano dire queste parole. Ma torniamo al romanzo. Kira Geòrgievna, o come la chiamano gli amici, Kilja, da bambina sogna di diventare ballerina, poi attrice, poi ancora pittrice. Per l’ammissione all’istituto di belle arti, compone un ritratto ispirandosi a Cezanne: viene ammessa, ma alla facoltà di scultura. Frequentando l’istituto, conosce Vadìm, un poeta, di cui si innamora. I due decidono di vivere insieme in un piccolo appartamento al centro di Kiev, dalla cui finestra, osservando i tetti della città, immaginano Montmartre (gli occhi degli artisti!).
Il racconto procede, procede con l’eleganza di Nekrasov, che non evita di inserirsi con le sue riflessioni appuntate tra virgolette o tra parentesi, le quali si presentano meravigliose in tutto il contesto, quasi un dialogo tra il lettore e l’autore. Il resto è l’intreccio tra amore e arte, mescolati con i movimenti di una sinfonia e i delicati sentimenti di una donna: Kira. Ella, che ci accompagna dentro il suo cuore tormentato, constaterà se ciò verso cui alcuni di noi tendono -la perfezione di amore e arte- abbia senso (quale senso?).
Dario Orphée