L'insostenibile leggerezza dell'essere
di Milan Kundera
Adelphi, 1989
pp. 318
€ 12.00
1^ edizione: 1985
“Insostenibile leggerezza”: l’ossimorico binomio utilizzato da Milan Kundera è alla radice dell’analisi impietosa, del vivi- sezionamento direi, della condizione umana su un piano storico, filosofico, socio- politico e ideologico. Kundera si interroga sulla dicotomia leggero-pesante partendo da Parmenide e rileggendo in questa chiave le sonate beethoveniane; utilizza la teoria nietzschiana dell’eterno ritorno per spiegare la redenzione generata dal carattere effimero della storia.
L’invasione sovietica della Repubblica Ceca viene filtrata attraverso gli occhi dei quattro co-protagonisti, elevata allo status di lotta ideologica mentre la sua eco è smorzata dal peso delle tragedie personali. Nel tentativo di spiegarci la sua filosofia, l’autore sovverte i tradizionali rapporti temporali (il plot è tanto ricco di flashback quanto di flashforward) e mescola quelli spaziali (la scena si sposta dalla Repubblica Ceca alla Svizzera all’America e alla Cambogia mentre lo spazio onirico si confonde con quello reale).
Le parole, e di conseguenza le idee da esse espresse, si caricano di nuove connotazioni attraverso la rivisitazione etimologica e semantica. Il discorso sul Kitsch e il “piccolo dizionario di parole fraintese” ne sono un chiaro esempio.
L’amore è un sogno allucinato, l’idillio la nostalgia del Paradiso, la vertigine la sensazione che si prova all’avvicinamento di poli contrapposti che da una distanza immensa arrivano a toccarsi. L’innamoramento e l’infedeltà, (una variante del tradimento politico così come è evidente nel personaggio di Sabina per la quale tradire la famiglia, l’amante o la patria sono atti equipollenti), rivestono una parte non indifferente nella dinamica così come nelle sequenze riflessive del testo. Sia l’amore che il tradimento nascono da metafore come se fosse la vis trasfigurante della letteratura a plasmare gli eventi. Non è un caso se l’Edipo di Sofocle, metafora della colpa punita, determina la “caduta” e la retrocessione di Tomaš, stimato chirurgo, alla condizione di lavavetri, e la sua progressiva damnatio memoriae a causa della sua colpa verso il regime comunista.
Il romanzo procede attraverso una divisione dicotomica: dalla scrittura di Kundera emerge un chiaro intento demistificatorio, anche se, nonostante ciò, lo scopo viene perseguito attraverso un linguaggio poetico (l’insistenza sulle figure retoriche) e biblico che delle Sacre Scritture predilige la componente mitologica (la Genesi). La verità viene cercata dunque paradossalmente in un linguaggio che si presta ad allusioni, plurime interpretazioni e al mascheramento più che allo svelamento. Ciò che più colpisce, però, è che anche l’opposizione, più apparente che effettiva, di pesantezza e leggerezza. Se schematicamente è possibile contrapporre Sabina, donna “leggera”, a Franz, che per attività e abitudini ci appare molto più pesante, o l’atteggiamento leggero e libertino di Tomaš alla valigia pesante di Tereza (anche qui è evidente un riferimento metaforico al fardello costituito dal passato della ragazza), l’evolversi delle vicende farà sì che il confine diventi labile. La vivacità di Sabina, la leggerezza conferitale dal suo spirito d’artista, viene inghiottita dal suo amore per i cimiteri; la pesantezza di Franz associata alla sua serietà e considerata una debolezza dall’amante viene ribaltata in un ultimo desiderio di forza e di slancio … anche se questo slancio vitalistico conduce ironicamente alla morte. Anche la pesantezza- debolezza di Tereza rivela alla fine la strategicità di un atteggiamento che sfrutta in modo sottile la propria condizione di vittima e ne fa un’arma puntata verso il forte. Tomaš, infine, sembra assumere comportamenti leggeri verso le donne perché spinto dal bisogno di controbilanciare la pesantezza della sua professione e quella dell’amore per Tereza, un amore tanto ingombrante da occupare tutta la sua “memoria poetica”.
Cosa vuole suggerire l’autore? E’ più facile vivere sotto il segno della leggerezza o della pesantezza? E cos’è più giusto anche se non più facile da ottenere? Credo che Kundera voglia dirci che leggero e pesante non sono direttamente rapportabili alla dicotomia del positivo e del negativo. Per questo è impossibile scindere i suoi personaggi etichettandoli come vinti e vincitori e in questo forse sta anche la grandezza dell’autore: Kundera rappresenta un’umanità che, come Edipo, è già sconfitta nel momento stesso in cui si cinge il capo con la corona della vittoria.
Eva Maria Esposto
Anche Laura aveva scritto sull'Insostenibile leggerezza dell'essere: clicca qui per leggere la sua recensione
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