Per la pace perpetua
di Immanuel Kant
1^ edizione originale: 1795
Di fronte al nuovo -ed ennesimo- conflitto, abbiamo assistito alla solita rassegna di idee. Molte di queste, sono apparse prive di una conclusione. Il fatto, come più volte viene ripetuto ovunque (tv, radio, piazze, ecc.), e verso il quale tanti convergono, non è: «Era necessario attaccare, altrimenti…», poiché ragionare sulla scelta tra un male maggiore e un male minore, ritengo sia non-umano, oltreché infruttuoso: è sempre un male che si sceglie, no? Dunque, che bisognerebbe fare? Beh, una volta tanto -una volta tanto nella storia- bisognerebbe usare la ragione, e non per scegliere tra “condizioni”, ma per fornire qualcosa di creativo. Questo sembra umano.
Un atteggiamento simile (ovvero, quello di: 1. mostrare l’assurdità dei conflitti, 2. progettare la pace), lo assunse, nel 1795, Immanuel Kant, scrivendo “Per la pace perpetua”. Si noti, accanto al sostantivo “pace”, l’aggettivo “perpetua”. Il titolo, di per sé, mostra il carattere del progetto kantiano: non è la tregua ciò di cui si va in cerca (i cosiddetti periodi di pace che noi viviamo -sempre che ci siano davvero- sono, in realtà, tregue “truccate”), ma illustrare in che modo sia possibile allontanare la dipendenza dalla guerra, vizio degli uomini con poca ragione, o, per dirla con Kant, porre le basi per uno Stato repubblicano, il quale possiede un’impostazione governativa fondamentale per “mettere al bando” la guerra. Vediamo in che modo, allora. Salto parecchi pezzi, e giungo a quello che ritengo il più bello: il terzo articolo della parte prima, che è di una tale evidenza, di una tale efficacia, che averlo ignorato fino a questo momento è piuttosto mortificante (per chi crede nella ragione):
«3. “Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono scomparire del tutto”». Pag. 47
Mi pare perfetto. A «scomparire del tutto» devono essere, in primo luogo, le immagini della guerra. Ma la ragione è viva, non una macchina che esegue ordini, ed elabora, come Hegel elaborò… Si può costringere, per la pace, alla concordia? Si può, se l’uomo, nella sua costituzione, è di fatto bellicoso? Insomma, si può inserire l’uomo in uno stato di socievolezza? Infinite sono le risposte. Questa è una: esiste, nell’uomo, una cosa che chiamiamo sentimento. È a esso, oltre agli algoritmi mentali-morali sul valore della pace, che ritengo sia necessario (anche qui, una volta tanto) ricorrere, iniziando dal tentare-di-comprendere se un’offesa può arrecare dolore a chi ci sta di fronte; con l’empatia, la cui essenza è di facile conseguimento per la maggioranza degli intelletti, si impara tanto. Troppo romantica questa tesi? Troppo illuminista, e ottimista, quella di Kant? Intanto, per evitare idee prive di conclusione, modelliamoci pensando che offendere sia a priori dannoso (sesto articolo de “Per la pace perpetua”).
Dario Orphée
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