di Giovanna Cimino
Aletti Editore, 2010
Uomini – prima o poi risulta, qua e là, persino affascinante: ogni volta che leggendolo si intuisce il messaggio che questa raccolta di racconti a firma Giovanna Cimino vorrebbe comunicare viene voglia di ricominciare daccapo la lettura perché, in fondo, il significato appena intravisto potrebbe essere interessante. Viene voglia di ricominciare daccapo con la speranza di essersi persi frasi e parole “rivelatrici”, ché se il senso lo intuisce il lettore ancora meglio lo avrà intuito l'autrice, e se l'ha intuito si può supporre che abbia anche voluto disvelarlo. Forse è andata così, la Cimino qualcosa di ben definito da dire ce l'aveva; che avesse anche i mezzi a disposizione per farlo è un dato sicuro. È in effetti un libro ben scritto che si lascia leggere con facilità, non ci sono – e dato l'andazzo generale non è cosa così scontata – inutili barocchismi a sorreggere un lessico che si regge in piedi sulle sue gambe senza bisogno di orpelli vari. Qua e là l'uso massiccio di virgolette corsivi e puntini di sospensione, insieme a qualche virgola fuori posto, rischiano di appesantire la pur sempre godibile prosa, ma è un rischio che in fin dei conti è scongiurato da una buona proprietà di linguaggio palesata in numerosi luoghi del testo.
Quel che a mio avviso non funziona, ripeto, va ricercato a livello contenutistico. È l'assenza di mordente a indebolire un'opera che, diversamente congegnata, avrebbe potuto suscitare il vivo interesse del lettore. Dove vorrebbe andare a parare lo si intuisce soltanto: uomini senza personalità, nel migliore dei casi deboli e incapaci di dirigere la loro vita verso mete appena più elevate di un campo di calcio o di un fondoschiena ben tornito, vagano come spettri lungo treni strade o piste da ballo con la sola intenzione di portarsi a letto qualche donna attraente. Più che il femminismo invero un po' grossolano che scorre tra le pagine del libro è proprio il tema dell'impotenza esistenziale (e non solo) dell'uomo che potrebbe esser meglio sviscerato. Potrebbe risultare estrememente affascinante insistere nel tratteggiare e nell'illuminare meglio quel corollario scenico che vorrebbe rappresentare la fragilità, non di rado vigliacca e presuntuosa, del cosiddetto sesso forte. L'ambiente che circonda il vasto campionario di larve umane sembra scalpitare per attirare su di sé l'attenzione, perché gli sia concessa la parola: treni diretti non si sa dove, corridoi di uffici pieni di pratiche burocratiche e vuoti di sentimenti, sale di locali adibite al petting vorrebbero assumere un ruolo narrativo determinante, contribuire a rendere comprensibile il groviglio psicologico che svuota i personaggi maschili di ogni forza propria oltre a quella sessuale, su cui peraltro si avanzano dubbi. Ma non succede niente del genere, tutto viene delegato alle parole dei protagonisti che l'autrice rende sempre e comunque detestabili.
È un dato di fatto: Giovanna Cimino semplifica il rapporto uomo donna, lo banalizza (o forse semplicemente non vuole restituirlo nella sua variegata complessità) e ne ricava un'indignazione a senso unico. Sono sempre gli uomini, insomma, a rappresentare il polo negativo; sono sempre le donne a giudicare sdegnosamente gli atteggiamenti e le vite dei loro pretendenti. Potrebbe essere una semplificazione simpatica se il libro avesse un taglio ironico e scanzonato che proprio non ha. Potrebbe essere una satira, se scavasse nella psicologia dei personaggi e sviluppasse una morale da contrapporre a quella degradata contro cui si imbastisce la critica.
È la stessa Cimino a dirlo a chiare lettere nell'introduzione: «[...] nell'attesa della venuta di un uomo migliore con la speranza che in qualche angolo del mondo esistano esemplari che possano ancora affiancare una donna, raggiungerne l'altezza, la dignità, il valore e la sensibilità». Semplificazione, luoghi comuni e generalizzazioni arbitrarie segnano i limiti più evidenti dell'opera: in quarantuno racconti incontriamo solo e soltanto uomini tristi, pavidi, disinformati, freddi, egocentrici e via dicendo.
Quali sono, più precisamente, gli aspetti su cui si abbatte il maglio della Cimino? Sono quelli costituiti dalla degenerazione degli elementi che una lunga tradizione letteraria e non solo attribuisce al maschio, filtrati da un'ossesione psicanalitica che caratterizza molte pagine del libro, superata solo dall'ossessione citazionistica (si trovano infatti citazioni che vanno da Baumann al Manzoni, da Dante a Guccini a De Andre'). Si tratta di un eccesso di razionalità («paragonabile ad un medico che sta operando con i guanti in lattice»), di una debolezza che fa a pugni con la parte da duro recitata ventiquattr'ore al giorno, «una personalità senza né capo né coda, inconcludente, che inciampa in una vita sempre piene di ostacoli». La donna è protetta da un'istintualità salvifica, dalla creatività e dalla leggerezza dell'esistenza, l'uomo è gravato da un pensare “matematico” che annichilisce i sentimenti e gli slanci più “umani”.
È un libro ben scritto, ma questo non basta a salvarlo dall'oblio in cui, molto probabilmente, cadrà. All'autrice consiglio, bonariamente e con ironia, di andarsi a leggere il Manuale contro la donna a favore della femmina di Massimo Fini, testo brillante in cui la provocazione intellettuale e una profonda conoscenza in campo sociologico si fondono magnificamente.