di Giulio Ferroni
Laterza, Roma-Bari 2010
pp. 110
€ 9,00
Un critico che non le manda a dire. Viene da pensare a questo, fin dalle prime pagine di Scritture a perdere, agile pamphlet o raccolta di interventi di Giulio Ferroni, noto a tutti per le antologie della Letteratura italiana mondadoriana, o per il diffuso La passion predominante.
Critico, storico della letteratura, giornalista, scrittore e professore ordinario di Letteratura italiana a Roma: sfaccettature multiple che spiegano l'estrema precisione scientifica di Ferroni, nonché lo stile accattivante e l'estrema chiarezza delle sue pagine critiche. Limpidezza del dettato e levità contribuiscono di certo alla diffusione di Scritture a perdere, pensato non solo per gli addetti ai lavori ma per il lettore medio che, adescato a dovere da un titolo attraente, si troverà immerso senza accorgersene in un dibattito acceso col presente della letteratura.
La polemica è una Kali che allunga le sue tante braccia in ogni singolo contributo, a partire dall'assunto che
oggi assistiamo al paradosso di una letteratura che si moltiplica e contemporaneamente arretra, assediata dall'impero dei media, dalla vacuità della comunicazione, dalla degradazione del linguaggio e della vita civile: come schiacciata da tutto ciò che ha alle spalle e dall'eccesso in cui continua ad espandersi, confinata in una condizione che da tempo è definibile come "postuma". (p. 101)
Una concezione pessimistica, certo, della condizione della letteratura nella contemporaneità, schiacciata dai media e dall'immagine, nonché dall'informatica, di cui Ferroni non sembra apprezzare neanche le potenzialità pratiche (Il tempo dell'eccesso). Si moltiplicano i testi, ma restano annacquati tentativi di comunicazione: dominano i contenuti e sbiadisce l'attenzione allo stile, sempre più tachigrafico e meno studiato, piegato sull'imitazione del parlato, anche quello più bieco e corrivo.
Dopo una violenta denuncia della sparizione di spirito critico nella società italiana (Evaporazione di una cultura "critica"), ha ampio spazio il ripensamento di Ferroni su tanti bestsellers pluripremiati negli ultimi anni. In particolar modo, nel capitolo Scrittori di successo la penna di Ferroni si fa critica sulla Mazzantini di Venuto al mondo, ma anche sulla Solitudine dei numeri primi di Giordano o Scarpa con il suo Stabat mater.
Nel successivo capitolo Frammenti del bestiario italiano, Ferroni prende atto della sempre più frequente tendenza degli scrittori italiani a provare la strada del genere noir, a qualunque costo, costruendo trame largamente inverosimili, su ispirazione particolarmente libera di fatti di cronaca.
Dopo questa raccolta di disillusione e di distruzione della letteratura contemporanea, subentra l'aspetto propositivo di Ferroni. Il capitolo Qualche strada praticabile: dal racconto all'"autofiction" perde la portata polemica dei precedenti, per esaminare generi e possibilità d'espressione per il presente. La misura del romanzo appare inadatta a rappresentare la "confusione del mondo"; al contrario,
sembra che la forma "breve" del racconto, guardato spesso con sospetto dagli editori, sia oggi la più adatta a toccare la frammentarietà e la pluralità dell'esperienza, a scavarne il senso con tensione linguistica ed espressiva: essa può costituire una risposta critica allo zapping interminabile della comunicazione e alla sua apparente continuità e scorrevolezza, all'aggressione sistematica della televisione e della pubblicità. (pp. 67-68)
Testimonianza del successo e delle potenzialità della forma breve, è il ritorno al racconto di tanti scrittori, come Vassalli, con il suo Dio, il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni (Einaudi, 2008), o Giovanni Martini, Francesco Pecoraro, Silvana Grasso, Andrea Carraro e Giorgio Falco. Alle loro raccolte di racconti Ferroni dedica un'attenzione ammirata, con brevi ma efficaci quadri delle caratteristiche principali di ogni opera.
Altra possibilità rimasta alla letteratura contemporanea è, forse, l'Autofiction, ovvero
l'io che parla non è propriamente autobiografico, ma non è nemmeno del tutto fittizio, coincide in tutto o in parte con quello dell'autore vero e proprio, di cui può assumere anche lo stesso nome, anche se sulle sue vicende personali inserisce dati di finzione che possono essere più o meno ampi, oscillando tra una misura minima [...] e una misura massima (p. 83).
Questo genere, che ha per illustre predecessore Proust della Recherche e nel Novecento italiano Fratelli d'Italia di Arbasino, trova esempi contemporanei nei meno noti Ermanno Cavazzoni, Fabrizia Ramondino e Walter Siti. In una struttura che oscilla tra recensione e breve commento, Ferroni apprezza le peculiarità delle singole opere, per poi ricordare due libri molto distanti tra loro ma comunque meritevoli come Gomorra di Saviano e La vita bassa di Arbasino.
Chiude il libretto Responsabilità e destino, da cui ho tratto la prima citazione: alla fine della lunga tirata polemica e del più dimesso plauso per le suddette opere, Ferroni delinea le caratteristiche dello scrittore che manca alla contemporaneità, e chiude la propria riflessione con un fondo di provocazione (o di velata speranza?):
Di fronte a questo contesto [...], una scrittura della responsabilità e del destino non può prescindere da una prospettiva "negativa", da un legame con la grande tradizione di "negazione" che ha caratterizzato la modernità letteraria e artistica. Ma questa negatività non può chiudersi nella propria singolarità, nel rilievo della propria autosufficienza, negli oscuri gorghi in cui si è spesso immersa l'avanguardia: le tocca confrontarsi con la confusione e con l'eccesso della comunicazione corrente, lavorare sottilmente contro le scorte infinite che la costituiscono, depurarne e svuotarne l'illusoria consistenza. Ricerca dell'essenziale, impegno nell'ascolto del mondo, cura per il suo destino, disposizione a dislocare l'invenzione e a toccare il cuore del linguaggio. Ci saranno nel nostro paese scrittori all'altezza di questa necessità? (pp. 109-110)
Gloria M. Ghioni