Le relazioni pericolose
Garzanti, Milano 2004
€ 9,00
Tempo fa, ma questo non ci viene raccontato, la Marchesa di Merteuil viene abbandonata dal conte di Gercourt che le preferisce l’intendentessa di *** e in quel frangente conosce il Visconte di Valmont, a sua volta rifiutato dalla stessa intendentessa. I due diventano amanti. Libertini, maliziosi e come scopriremo anche diabolici.
La giovane Cecilia Volanges sta per entrare nell’età degli amori, ma già sua madre ha in mente di farla sposare con Gercourt: la Marchesa lo viene a sapere e non vede l’ora di guastare la festa. In più Cecilia si innamora del giovane Danceny e lui di lei. In agguato però c’è il Visconte, gran seduttore ed amante di tutto rispetto, che punta tutto per conquistare la Presidentessa di Tourvel che lo respinge fino a quando può. Alla Merteuil questo desiderio fisso del suo amante per la Tourvel non va giù, tanto che …
I personaggi sono molti e la corrispondenza si intreccia e si ingarbuglia. Confidenti sinceri, pie donne, donne malvagie, confidenti diabolici, falsità, amore sincero, vendetta, ripudio … una materiale incandescente per un capolavoro di ingegneria letteraria dove tutto è perfettamente calibrato, organizzato, intrecciato. I personaggi mutano il loro atteggiamento con il corrispondente nello svilupparsi del plot (vedi il rapporto tra la Marchesa e il Visconte) e inoltre è piacevolissimo cogliere le differenze non solo di intenti ma anche di stili e di tono quando uno stesso personaggio si rivolge ad un diverso corrispondete.
Quando scrivete a qualcuno, è per lui e non per voi: dovete dunque cercare di dirgli meno quello che pensate voi, che quello che gli fa più piacere (lettera 105)
È la stessa Marchesa ad insegnare a Cecilia come si scrive una lettera: lo fa da amica, consigliera, confidente. Con tutti i vantaggi che questo può avere per il suo “gioco” che lei tanta (ancora ci riesce ma non durerà fino alla fine perché Laclos interviene) di portare avanti muovendo tutte le pedine. Sia bianche sia nere. Purtroppo però la povera Cecilia non sa che quello scrivere per qualcuno, quel modulare le parole, i significati e i toni a seconda di ciò che l’altro vuole sentire da noi, è proprio ciò di cui può essere lei stesa vittima.
Il lavoro di ingegnere di Laclos non si ferma solo nell’intrecciare 175 lettere di diversi corrispondenti, ma nell’aggiungere a quest’intreccio anche altri due elementi testuali: Avvertenza dell’editore e Prefazione del redattore. Non sono le solite note che precedono le vicende narrate, quelle note che a volte saltiamo per l’impazienza, ma sono parti integranti del disegno di Laclos, parti che stanno lì a provare l’assenza reale dell’autore, ma che ci confermano la sua attiva presenza che dà una morale a tutto il romanzo, che ad ogni personaggio fa fare la fine che si merita.
L’editore ci presenta quello che stiamo leggendo niente di più che come un insieme di lettere, anzi, precisa che a discapito di quanto dica il redattore a lui sembra proprio un romanzo. E perché? Beh, perché è impossibile che nel suo (loro, dei personaggi e dell’autore e lettori contemporanei) filosofico secolo dei lumi si verifichino tali scostumatezze. E qui Laclos ci dà sottile prova del suo gioco ironico, che tra l’altro accompagna anche la sistemazione delle lettere accostando l’ingenuità di Cecilia alla malignità della “strega Merteuil” che tutto controlla. Poi è la volta del redattore che ribadisce come quelle non siano altro che lettere e che lui sia intervenuto per eliminare quelle non utili all’intelligenza dei fatti. Lui crede che sia giusto pubblicarle proprio perché sono utili:
opera utile ai costumi, svelare i mezzi di cui si giovano coloro che ne hanno di cattivi per corrompere coloro che ne hanno di buoni.
e dilettevoli per:
Quindi è escluso che dietro tutte queste lettere ci sia solo un autore. E allora Laclos dov’è? È lassù, e come Dio, lento all’ira, è pronto però a scagliarsi nel momento opportuno contro chi compie malignità. Perché ha qualcosa da insegnare alla sua era, perfino a quella più “illuminata”.varietà degli stili: merito che un autore difficilmente può avere, ma che qui [nella raccolta che ha curato] si presentava spontaneamente, e che perlomeno salva dalla noia della uniformità.
Fabio Mercanti