Estetica pragmatista
di Richard Shusterman
Aesthetica, 2010
a cura di G. Matteucci
traduzione di T. Di Folco
pp. 272
€ 28.00
Perché una poesia di T. S. Eliot è arte, e una canzone rap no? Qual è il confine che separa l’arte elevata dall’arte popolare? E, infine, quale dovrebbe essere il ruolo della critica? Sono queste le domande alle quali Richard Shusterman tenta di rispondere. Le pagine del libro sono impregnate del pensiero di John Dewey, specialmente di quel pensiero deweyano maturo, esposto nell’opera “Arte come esperienza”, che riassume le ricerche degli studiosi pragmatisti, William James in prima fila (gli studi sull’esperienza umana). Shusterman, citandolo, scrive:
«Dewey mira a “ripristinare la continuità dell’esperienza estetica con i processi normali del vivere”» (Pag. 36).
Questa la base. Lo sviluppo è una sorta di programma per una nuova estetica. L’autore, infatti, parte delineando i maggiori profili dell’estetica moderna e contemporanea, con i contributi degli analitici e quelli dei pragmatisti; passa attraverso il tentativo di una definizione dell’arte, da Platone a Danto; espone il valore della critica, fornendo egli stesso una prospettiva di critica (letteraria), analizzando “Ritratto di signora”, di T. S. Eliot (l’analisi è molto curiosa: la poesia di Eliot assume, con Shusterman, i due principali profili riguardo i giudizi sull’arte, ovvero l’arte dei musei e l’arte di massa); infine, approda al suo grande progetto: dopo aver catalogato le ragioni che impediscono all’arte popolare di essere giudicata positivamente dai critici, propone l’analisi di un brano rap (evidente prodotto dell’arte popolare), “Talkin’ all that jazz”, degli Stetsasonic, contestualizzando nei dettagli il genere musicale statunitense, trattando della storia del rap, delle tecniche specifiche utilizzate per comporre tali musiche, ecc.
Al termine del capitolo, fulcro dell’intero libro, che espone le “modalità” secondo cui la critica dovrebbe muoversi per giudicare l’arte popolare, Shusterman apre il “cantiere” della sua «proposta disciplinare»: la “somaestetica”. All’origine di questo progetto vi è una convinzione: è impossibile, secondo Shusterman (e secondo Wittgenstein, il quale è citato e dà avvio alle riflessioni) scindere l’etica dall’estetica. Entrambe sarebbero “uno”. Come si concretizza ciò? Per Shusterman è semplice: è necessario fondare un’estetica che consideri l’uomo nella sua interezza, o meglio, un’estetica che possa “completare” le mancanze dell’estetica settecentesca di Baumgarten; quest’ultimo, secondo l’autore, avendo operato in un periodo storico difficile per la libertà di pensiero, non avrebbe potuto (per ragioni ovvie) parlare filosoficamente del corpo. La somaestetica, dunque, un’estetica più curata e ampliata, tiene presente, all’interno del progetto, gli sviluppi contemporanei sullo studio del corpo, con riferimenti ai pilastri del pensiero filosofico: Dewey e Foucault.
La riflessione di Shusterman è più che buona: sia perché l’autore dimostra geometricamente tutto ciò che sostiene, senza lasciare dubbi al lettore impegnato o allo studioso di estetica, sia perché oggi è molto importante capire cosa sia arte. Certamente "Estetica pragmatista" è uno studio “al passo con i tempi”, ma spiazzante per chi (come per colui che scrive) è legato alla tradizione kantiana o, più precisamente, a quella del romanticismo tedesco.
Dario Orphée