di Alberto Piccinini
Pendragon, 2011
€ 15,00
pp. 204
Il disordine non è l'assenza di qualsiasi ordine, ma piuttosto, lo scontrarsi di ordini privi di mutuo rapporto.
La tatutologica intuizione di Rudolf Arnheim spicca fra le molte parole di esimi colleghi, più o meno consapevoli, dotati o no del benemerito diritto di replica, a rimarcare il puntiglioso estro citazionista in cui si crogiola la distopica Nota dell'autore, ardita conclusione del secondo romanzo di Alberto Piccinini, marchigiano trapiantato a Bologna, avvocato prestato alla letteratura, sdoganatore occulto di sublimi scorrettezze legalizzate.
Nel coacervo di voci e singulti, aspirazioni fraudolente e frustrazioni abitudinarie, sviscerate a mo' di diario di bordo su queste pagine dense di accadimenti soggettivati e rimproveri oggettivi, seppur nel caos cosmogonico pluritonale in cui si dipana a brandelli una bieca vicenda di corruttele spionistiche, miste a immancabili buoni propositi da smarcata deontologia professionale, non è difficile rintracciare l'alter ego autobiografico della meta-narrazione in Claudio, avvocato, non più giovanissimo, per stanca e smemorata vocazione egualitaria, marito fedele, non tanto per onestà sentimentale, quanto per noia convulsa e penuria di allettanti alternative, mancato padre, mancato insurrezionalista, mancato cavalier servente di una dama altra, extra moenia, di cui è più che innamorato. Ne è piuttosto imbevuto, ossigenato, rescisso.
La fortunata in questione è la stolida Federica, avvocata anche lei, insieme ancora socia, quasi per diritto di nascita, di uno studio legale da telefilm transoceanico, con la grande passione romanzesca dell'eroismo a tutti i costi, facile preda d'impulsi non esattamente raccomandabili, la cui esistenza da pinacoteca è ascrivibile al piacevole sconcerto perenne suscitato da un affresco naif, pennellato da una genealogia di amanti diversamente coniugati, pratiche esoteriche d'arti marziali passe-partout e ingorde vaschette di gelato al cioccolato fondente.
Di lei poco altro si delinea, salvo la randomicità esasperante che la invischia di striscio in casi limite, in grado di mettere sapientemente a repentaglio la sua incolumità psico-fisica. Ha un fratello, particolare, questo, congenito, che la smitizza un poco, almeno nel contratto sociale, sottraendola in volata all'iperuranio iperbolico della purezza astrattiva in cui è stata sinotticamente generata.
Fratello Roberto, dunque, prima socio, pare maggior azionista, poi sempre più defilato pannello di autocontrollo, che per fortuna perde - almeno lui! - le redini inconcusse di personali situazioni sentimentali surrettizie, insieme all'interesse asfittico per le reiterate cause giudiziarie sconclusionate, che lo vorrebbero tanto vedere impegnato in qualche disvelante processo, mediatico o medianico, che non sia ancora, esclusivamente, un'ennesima proiezione mentale degli avvezzi protagonisti.
Perchè, oltre alla blanda denuncia del malcostume apocrifo vigente in questo nostro sistema (il)legale, l'intero romanzo appare un labirintico rimuginamento su se stessi, sulle proprie ansiogene manie da prestazione seriale, sui privati sgarbi dell'anima, inferti contro se stessi alle incerte progettualità futuribili, in una laconica, empatica rifrazione sulla riflessologia dell'arte, quale pratica, cioè, del sillogismo mimetico, deriva matematica di causa-effetto.
Così, un corroborante sguardo dal silente finestrino di un treno, in corsa statica verso il banalmente già noto, mette a fuoco la fotografia barocca di un momento fugace, da incorniciare in seguito, per puro relativismo nostalgico; l'alternanza ritmica di epiteti filosofico-letterari, giocata in uno spasmodico palinsesto d'intese, che tesse l'ordito di un rapporto uomo-donna paradossalmente asessuato, come la scenografia di un quiz nozionistico senza premi in palio, lascia supporre il bruciante rimando alle innate inclinazioni individuali, forse precocemente abbandonate; la scelta di una professionalità parodizzata, in fine, sembra trovare solo nel cinematografico colpo di scena quasi finale, una legittimazione etica da salvacondotto politicamente corretto.
Claudio pensò che il Supremo Regista dispone così delle vite dei personaggi che popolano il suo immenso teatro. Ci sono alcune comparse, destinate a una breve e infelice apparizione ai margini del palcoscenico, che non lasciano tracce nella grande esibizione. Di loro non si accorge nessuno, né i protagonisti che dominano il centro della scena, né il Grande Spettatore, che poi è sempre lui, che assiste distratto e annoiato allo spettacolo. Forse dorme. Certo è del tutto indifferente.E' in questi casi, allora, verosimilmente, che si ricorre ad una Procedura d'urgenza.
Francesca Fiorletta